Torna in tv, ha due progetti e un’idea: creare uno sportello per l’adozione degli animali randagi. «Mi sento come un pilota di Formula Uno»
Una vecchia battuta dice: ci sono donne che credono nell’amore e altre che hanno già preso un gatto. Niente gatti per Barbara d’Urso, 59 anni portati con la spavalderia di chi si presenta sulla porta di casa in bikini bianco e copricostume in pizzo — è la casa del mare, il suo rifugio in Maremma, battezzato Casa Vera, dal nome della madre, morta quando Barbara aveva 11 anni, ma Vera anche perché «solo qui so di non essere mai sola, c’è un punto preciso, lungo la strada, dove percepisco la presenza di mamma», come ha scritto più volte nei suoi libri, sette, in cui si è raccontata con la stessa franchezza con cui ora mostra il fisico da ragazza. Niente gatti, però all’amore, dice, non ci crede più. «Non sono una persona felice: non si può essere felici in un mondo come questo, a meno che tu non decida di vivere in una bolla d’aria e di fregartene di tutto. Io non sono così, non ce la faccio. Posso provare gioia, ma non felicità. Gioia è anche sedere qui, in giardino, e vedere la mia bougainvillea crescere. Non sono innamorata, non riesco più a innamorarmi di un uomo. Mi mette il morbillo l’idea che ci sia qualcuno con le chiavi di casa mia. Si arriva ad un certo punto in cui gli spazi sono troppo importanti: non condividerò più la casa con nessuno. La libertà di alzarmi e spalancare la finestra, come voglio io, anche se fuori c’è il gelo, non la baratto con niente». Niente gatti, però per il suo imminente ritorno in tv dopo le vacanze estive, con Pomeriggio Cinque e Domenica Live — i due programmi di Canale 5 che la tengono in diretta sei giorni su sette —, ha deciso di puntare sugli animali, «vorrei aprire uno sportello, “Mi Fido di te”, per dare voce a tutte le associazioni e promuovere l’adozione dei randagi». Una nuova campagna, dopo quella sui diritti civili e quella contro la violenza sulle donne «per le quali mi sono spesa tanto e continuo a farlo, perché ci credo»
Eccesso d’amore
Nei suoi libri ha raccontato con generosità del suo modo eccessivo di amare, delle storie con inizio fantastico, svolgimento complesso e fine drammatica — la lunga relazione con il produttore cinematografico Mauro Berardi da cui ha avuto i due figli, Giammauro ed Emanuele, e le nozze con il ballerino Michele Carfora, finite nel 2008 — «schiava del mio non saper vivere l’amore con leggerezza, ma sempre con la forza dirompente dell’innamoramento assoluto. E così passavo dall’euforia dei grandi amori totalizzanti alla disperazione degli abbandoni, della fine di tutto». «Scrivere dei miei sentimenti e di me da bambina, della morte di mia madre, di tutto il tempo passato a cercare di ricostruire la mia vita con lei, che avevo completamente rimosso perché lo strazio era troppo grande — dice — è stato dolorosissimo, ma insieme anche una terapia. Ne sono uscita più forte, più consapevole. Ho fatto cinque anni di analisi freudiana, tre sedute la settimana, una cosa tosta. Poi altri sette anni di analisi cognitiva. Le ho provate tutte, è stato un arricchimento culturale incredibile». Il modo in cui si espone alle critiche rasenta il masochismo. Su Facebook la seguono 900 mila persone, su Instagram ha 640 mila follower che non gliele lasciano passare una. E lei insiste. Riesce a scatenare una pioggia di commenti acidi persino con la foto di una mozzarella in carrozza che ha appena cucinato: «Non farci credere che l’hai fatta tu o che la mangi!», «fa ingrassare!», «dai consigli falsi, come te!» (per tacere del capitolo Photoshop: c’è la comune e radicata convinzione — infondata, guardandola ora da vicino, in bikini — che sia tutta rifatta e che ogni sua foto venga piallata qui, rimpolpata là).
La foto della mozzarella in carrozza
Perché tutto questo astio? «Mi mostro come sono e non mi faccio condizionare dai commenti: con gli haters (gli odiatori, quelli che prendono di mira qualcuno sui social e si divertono a massacrarlo) debbono vedersela quasi tutti i personaggi famosi, basta ignorarli. Quella mozzarella era buonissima, ne ho prese due porzioni, sono venuti i miei figli, ho pranzato con loro, è stato bellissimo. Mia sorella mi ha raccontato di gente che augura la morte, in modi terribilmente cattivi, a me e a tutta la famiglia. Poveracci». Ieri ha postato una foto delle persone in fila, all’ospedale di Rieti, per donare il sangue. «Appena ho saputo del terremoto, volevo andare lì per tenere compagnia, spalare, aiutare, qualunque cosa. Gli amici me lo hanno sconsigliato: se ci vai, diranno che sei una sciacalla. Qualunque cosa faccio, viene girata al contrario. Ho una linea di condotta precisa: evito le polemiche, cerco di avere rispetto di tutti. Gli altri mi criticano? Io sto zitta. Se trascendono, andiamo in tribunale».
Le porte in faccia
«Mi hanno sbattuto la porta in faccia? Benissimo: rientro dalla finestra», scrive in Tanto poi esce il sole. «Le porte in faccia le prendono tutti — dice — perché non hai talento, non hai centrato l’obiettivo o magari chiedevi troppo. Ci sta. Quello che mi fa incazzare sono le porte in faccia per un’ingiustizia. E io ne ho prese. Programmi che avrei dovuto condurre, anni fa, e sono andati ad altri. Per lavorare in tv servono sacrificio e rigore. Sono un cagnaccio, lavoro sempre, le notti di venerdì e sabato le passo a guardare i servizi che mando in onda la domenica. Tutti. Ho l’ossessione del controllo». «La d’Urso non ha fatto in tempo a festeggiare la conduzione del nuovo reality sui divorziati, che è già stato cancellato», titolano i siti di gossip. «Sto sul campo tutti i giorni e so come funziona: titoli con la d’Urso, le spari contro, e la gente clicca. Ho due grossi progetti, ci sto lavorando. Non sono mai stata tanto corteggiata: Mediaset, La 7, RaiUno, Discovery. Mi fa capire che il mio lavoro ha un valore e mi fa sentire un pilota di Formula 1, grande se vince con la Ferrari, grandissimo se lo fa con la Topolino. Nazionalpopolare non è un insulto, è la serie A: l’amore, l’odio, la rabbia, l’invidia non sono sentimenti “colti”, devi parlarne usando la pancia. Io vivo di pancia, la vita è questo».
Corriere della Sera