La vera storia di Waris Dirie il “Fiore del Deserto”

La vera storia di Waris Dirie il “Fiore del Deserto”

Dalle dune del deserto alle passerelle delle più prestigiose maison di moda, la storia della modella Waris Dirie ha aperto gli occhi del mondo su una pratica devastante che ha cambiato la vita a 200 milioni di donne nel mondo

Waris Dirie ce l’ha fatta. Ha sopportato un dolore indicibile, umiliazioni e prove durissime, ma è riuscita a superarle con coraggio. Ha camminato tanto Waris. Dalle vie del deserto che sembrano infinite alle brevi passerelle dei più famosi brand di moda, dove in pochi secondi ci si può giocare una carriera intera. La sua storia è quella di tante altre donne, ma il finale no. Quello è stata una conquista coraggiosa, in parte derivata da un dono di natura, la bellezza.In parte, invece, è stata figlia del caso e della fortuna. Nel 1996 Waris Dirie decide di raccontare ciò che ha subìto. La sua scelta, però, è frutto di un equivoco, come ricorda il magazine Marie Claire. La giornalista Laura Ziv, di Marie Claire Usa, chiede alla modella somala di parlare del giorno che le ha trasformato vita, intendendo quello in cui il suo sguardo ha incrociato quello del fotografo Terry Donaldson, fotografo nel McDonald’s in cui lavorava. Waris, però, inizia a parlare di un altro giorno, dell’unico momento che davvero ha influenzato tutto il suo futuro. Ha tra i 4 e i 5 anni (nessuno nel suo villaggio ne ha mai registrato la nascita) quando viene infibulata.Il racconto è uno choc per lei, che deve ricordare, ma anche per chi la ascolta. Dopo l’inferno e l’angosciante prospettiva di un matrimonio combinato con un uomo molto più anziano, Waris fugge dal suo villaggio. Si rifugia a Mogadiscio, dove sopravvive facendo i lavori più umili. Infine riesce a partire per Londra, dove si iscrive a una scuola serale, perché analfabeta. Lavora come domestica in casa di uno zio 18 ore ogni giorno prima di trovare un nuovo impiego in un McDonald’s. Lì il suo fisico prorompente e la bellezza d’ebano la catapultano verso l’Olimpo della moda. È l’inizio di una nuova vita e di una sfolgorante carriera come modella che la portano perfino a posare per il celebre calendario Pirelli. Waris, però, non riesce e non vuole dimenticare da dove viene e qual è stato il tragico destino che l’ha accomunata a 200 milioni di altre donne nel mondo, di cui 44 milioni sono bambine e adolescenti non oltre i 14 anni.Usa la sua immagine, che molti conoscono attraverso le copertine e le sfilate, come una sorta di “megafono” o meglio, di faro, per illuminare una terrificante tradizione ancora oggi rispettata in 30 Paesi nel mondo. La storia di Waris Dirie diventa un libro, “Fiore del Deserto” (1998) e un film omonimo (2009). La modella diventa madre nel 1997 e portavoce della campagna OnuFace to Face” per infrangere la pratica delle mutilazioni genitali femminili. La pellicola “Fiore del Deserto” verrà trasmesso domenica 28 luglio in prima serata su Canale 5 e sarà un’ottima occasione per conoscere una testimonianza straordinaria di una donna che non ha avuto altra scelta se non trovare la forza di andare avanti dentro di sé. La scena più terribile del film, che procede per flashback, è proprio quella dell’infibulazione: la piccola Waris viene condotta dalla madre in una radura, un posto isolato in cui nessuno potrà sentirla gridare. La mamma gioca con sua figlia, la fa sentire al sicuro. Del resto nessuna bambina penserebbe mai che proprio sua madre possa accompagnarla a un patibolo di dolore.D’improvviso sopraggiunge un’altra donna dall’espressione impassibile e tutto si compie. Il film ruota attorno a questo tragico evento, evidenziando molto bene il fatto che l’infibulazione sia una mutilazione non paragonabile alla circoncisione maschile. È bene fare chiarezza anche nella terminologia. Non si tratta, infatti, di “circoncisione” femminile. Le conseguenze per le bambine sono indicibili (è comunque bene ricordare che in certi casi anche le circoncisioni possono avere conseguenze mortali dovute a infezioni ed emorragie): la mutilazione avviene spesso con strumenti non sterilizzati e la ferita ricucita anche con spine di piante (sarà il futuro marito a riaprire la cicatrice durante la prima notte di nozze). Viene lasciato solo un piccolo foro che la maggior parte delle volte non garantisce la corretta fuoriuscita di urine e sangue mestruale. Perfino il parto può diventare un’agonia e portare alla morte del bambino e della madre. Waris Dirie, oggi cinquantaquattrenne, si batte ancora affinché questa usanza venga abolita e alla carriera di modella ha affiancato quella di scrittrice, pubblicando altri libri sul tema dell’infibulazione e divenendo un simbolo di audacia e rinascita al femminile.

Francesca Rossi, ilgiornale.it

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