‘Da Hallelujah a The Last Goodbye’ di Dave Lory è il titolo della biografia dedicata al cantautore Jeff Buckley, in uscita oggi per la prima volta in Italia edita da Il Castello sotto il marchio Chinaski Edizioni. Il manager e amico del musicista, Dave Lory, svela al grande pubblico l’universo del cantautore statunitense, da una prospettiva unica e privilegiata. Un viaggio letterario che coinvolge soprattutto i professionisti del suo entourage, dagli inizi fino al tragico ed improvviso epilogo. Discografici, avvocati, musicisti, fonici, fotografi e tutta la filiera del music biz, contribuiscono al libro con aneddoti personali e storie mai raccontate prima, restituendo al lettore il ritratto di una figura complessa e controversa.
Lory e il giornalista Jim Irvin riportano in prima persona le giornate e i viaggi con Jeff. Il lettore vive direttamente prove, sessioni di studio, contratti e strategie promozionali attraverso il punto di vista tutt’altro che distaccato di Lory. Dettagli, pensieri e preoccupazioni di un manager, la cui figura si evolve nel tempo diventando una sorta di padre adottivo per l’eccentrico Jeff. Il padre che non ha mai avuto. Proprio il difficile rapporto con il padre, o meglio il paragone che subiva con il genitore Tim, è uno dei temi centrali del libro. Amato cantautore che aveva abbandonato lui e la madre in tenera età, per morire poi di overdose. Questo tormentato confronto sarà per sempre uno dei topic della sua vita e della sua carriera. “Non ho niente a che fare con mio padre” diceva Jeff, rinunciando completamente agli assegni derivanti dai suoi diritti d’autore. Un background musicale che spaziava dal metal anni ’80 alla musica indiana, alla raffinata abilità come chitarrista e come arrangiatore. Se Buckley definiva il musicista pakistano Nusrat Fateh Ali Khan ‘il mio Elvis’, non è un segreto che fosse innamorato della cantante dei Cocteau Twins Elisabeth Fraser, ma non tutti sanno che una volta disse no al suo mito chitarristico Jimmy Page che gli chiedeva di aprire un concerto. Le prime esibizioni nei locali, come nel bar irlandese Sin-è a New York che diventeranno le tracce del suo primo Ep. L’ingaggio in quel locale, dove lavorava come barista Sinéad O’Connor, fu procurato dal chitarrista dei The Commitments, Glen Hansard. La registrazione di quel disco dal vivo fu realizzata a insaputa del protagonista: il locale fu cablato di nascosto, così Buckley non si sarebbe sentito sotto pressione e avrebbe suonato rilassato. La vita e la carriera di Jeff erano un continuo alternarsi di alti e bassi, entusiasmi e delusioni, grandi certezze e improvvisi ripensamenti. Con il primo album ‘Grace’ il successo di massa arriva in un attimo e da lì il rapporto con i fan e con la fama diventa complesso. Improvvisamente era sulla bocca di tutti, così Paul McCarteny si auto invitava a un suo concerto, Barbara Streisand lo voleva per un suo film e i Radiohead furono illuminati da un suo concerto per riprendere le registrazioni del loro secondo album ‘The Bends’. Buckley era noto anche per la capacità di riprodurre perfettamente cantando tutto quello che ascoltava, dei colleghi riusciva a imitare anche il tono, gli accenti e le cadenze. Una volta, durante un concerto, cantò ‘Grace’ esattamente come l’avrebbe cantata Bob Dylan ma quest’ultimo, informato dei fatti, andò su tutte le furie, nonostante il gesto di Jeff fosse un tributo rivolto al suo eroe. Le registrazioni del suo secondo album ‘Sketches for My Sweetheart the Drunk’, come noto, s’interruppero a causa di un’incidente dove il cantante rimase ucciso. Evento che suscitò enorme scalpore e speculazioni mediatiche in tutto il mondo. L’autore che ha sempre escluso il motivo del suicidio o un abuso di sostanze, ci lascia con una personale osservazione non priva di un velato senso di colpa. Secondo Lory, infatti, il gesto di Buckley non è stato in alcun modo volontario ma semplicemente ne aveva sottovalutato le conseguenze.