Si è aperto ieri sera il “Global Spirit Tour” della band inglese campione del rock elettronico. Domani la replica a Milano nello stadio S.Siro e giovedì al Renato Dall’Ara di Bologna
Inizia con la rivoluzione elettronica dei Depeche Mode l’estate rock nei grandi stadi italiani. Inizia di fronte a 53 mila fan che sostengono la band come fossero l’elemento mancante arrivato qui per completare l’alchimia della loro musica. Introdotti dalle note della Revolution cantata dai Beatles, Dave Gahan, Martin Gore e Andy Fletcher hanno aperto ieri sera all’Olimpico di Roma il loro “Global Spirit tour” italiano che domani, 27 giugno, li porterà allo stadio S. Siro di Milano, e poi giovedì 29 al Renato Dall’Ara di Bologna.
Gilet sul petto nudo, pantaloni attillati e stivaletti di pelle rossi, Gahan si muove sul palco disegnato da Anton Corbijn da consumato entertainer, balla, fa piroette, cerca spesso il contatto con i compagni della band ma soprattutto sa di poter contare su un pubblico meraviglioso, cinquantatremila rockstar, protagonisti quanto lui, che hanno cantato per tutto il concerto, battuto le mani, tenuto il tempo, che lo hanno seguito fino a quando sul finale, prima dei bis, li ha sollecitati a seguirlo nel movimento delle braccia come fossero le onde di un grande mare collettivo, innescate come da copione dalle prime battute di Never let me down again. Arrivano da tutta Italia, specialmente dal Sud, e anche dall’estero, nelle prime file c’è una bandiera con la scritta Polska, Polonia. Vogliono esserci, sono felici di esserci. I Depeche Mode lo sanno e lasciano spesso che siano loro a condurre la festa, li spingono a cantare, li accompagnano in frequenti fuori programma.
La musica si ascolta paradossalmente meglio dall’esterno che dall’interno del catino dello stadio, i tecnici del suono della band non hanno fatto un buon lavoro, i toni bassi si impastano, nascondono le note alte. Anche il palco non è il massimo, la passerella su cui Gahan e Gore vengono a salutare il pubblico non si spinge oltre le prime file, il lavoro di Anton Corbijn sugli schermi e sulle luci sembra fatto con la mano sinistra rispetto alla grandeur del nuovo spettacolo degli U2, ma alla musica dei Depeche Mode non manca nulla per affascinare il pubblico e sa resistere a tutto, anche al brutto.
Al centro dello spettacolo l’album Spirit, in cui cantano su Where’s the revolution “Il treno sta arrivando, salite a bordo, il motore è al massimo, dov’è la rivoluzione?”, mentre sul finale arrivano i brani dagli anni Ottanta che li hanno resi una delle band più importanti per la scena del rock elettronico e non solo. La loro musica, basata essenzialmente sul suono dei sintetizzatori ma con una fortissima componente melodica, ha tenuto botta contro il passare del tempo, e in questi 35 anni è riuscita a parlare a diverse generazioni con la stessa efficacia. E continua a farlo anche nei confronti di quei giovanissimi fan nati negli anni Duemila e abituati ai suoni digitali.
Il concerto si apre proprio con due pezzi del nuovo album, Going backward e So much love, poi su Barrel of a gun Gahan cita i Grandmaster Flash & Furious Five di The Message: “Don’t push me ‘cause I’m close to the edge, I’m trying not to lose my head” canta, e sembra voler ricordare per un istante tutte le vite che ha vissuto, le due volte che la droga stava per portarselo via, il superamento dei suoi guai seri di salute, e di come a 55 anni può ancora permettersi di sculettare su un palco senza cadere nel ridicolo, da vera rockstar, tra le poche ancora degne di questo nome.
Mentre Gore lo accompagna con la sua semiacustica bianca su Corrupt, Gahan cita il grande rock chitarristico roteando il braccio a mulinello come fosse Pete Townshend, poi si apre la parte lirica di In your room da Songs of faith and devotion sostenuta da un video con una coppia di ballerini. Anche Gahan balla da solo su World in my eyes, il primo piano negli schermi ingigantisce i baffetti appena accennati, i pantaloni con la striscia rossa che esaltano i movimenti da torero, le vorticose piroette, la mano sul pacco a metà strada tra rapper e rockstar.
Qualcuno tra i tecnici ha finalmente sistemato il suono, ma non durerà, forse è solo l’effetto benefico dei brani meno saturi di suono e più di atmosfera come Cover Me classica ballata in cui spiccano le pelli della precisa e imponente batteria dell’austriaco Christian Eigner, con loro dal 1997. Poi lascia il palco a Martin Gore accompagnato al piano da Andy Fletcher, prima per A question of lust e poi per Home, con il pubblico a fare i cori e Gore che scende a prendersi gli applausi sulla passerella. Poison heart è riletta in una versione rallentata e molto teatrale, per Where’s the revolution Gahan si arrampica sulla balaustra e diventa un punto nello schermo in mezzo al video dei pugni e delle dita aperte in segno di vittoria. Non un effetto memorabile, come del resto quelli su Wrong, con lo schermo attraversato da frequenze impazzite.
Lo spettacolo è assicurato dalle canzoni, e dalla festa degli anni Ottanta che si apre a questo punto con Everything counts, che il pubblico canta in coro, Stripped e quasi quasi regge anche l’immagine delle cinque pennellate tracciate da Corbijn sullo schermo, tanto il suono è basico, Depeche Mode al 100 per cento.
Uno dei punti più oscuri del concerto è il motivo per il quale su Enjoy the Silence debbano passare una serie di animali domestici ripresi attraverso luci abbacinanti e acide. Gahan sale sulla balaustra tra primi piani di galline e maiali, cavalli e gatti sornioni, mentre la band improvvisa a lungo prima di tornare sul ritornello. Il finale, prima dei bis, è il mare di braccia su Never Let Me Down Again con un grande lavoro di batteria di Christian Eigner, preciso e potente come un metronomo, saturazione elettronica, luci stroboscopiche e fumi. Nei bis, cinque, quasi un secondo tempo, spiccano Walking in my shoes, con il video di un artista travestito che per tutto il giorno si prepara per l’esibizione in un locale notturno, e una splendida e minimalista Heroes, omaggio a David Bowie, uno degli eroi e modelli musicali della band e specialmente di Gahan. Si chiude in trionfo con Personal Jesus.
Il Fatto Quotidiano