I 50 anni di Sorrentino tra cinema e tv

Cinquant’anni sono una data che segna: ti guardi indietro e rivedi il film di una carriera da record; guardi avanti e scopri che tutto è ancora da scrivere. Così per il napoletano di Arenella Paolo Sorrentino che festeggia il compleanno il 31 maggio. Se guarda al suo passato ritrova nel carniere 8 lungometraggi, mai uguali tra loro, il trionfo all’Oscar e al Golden Globe per “La grande bellezza”, 4 premi europei (EFA), 5 David di Donatello, 7 partecipazioni al festival di Cannes, 8 Nastri d’argento. Se invece si specchia nel futuro c’è il mare grande dei progetti per il cinema, la scoperta che la serialità gli si addice (il grande successo di “The New Pope” e relativo seguito), una prospettiva personale da scrittore cominciata già nel 2010 con “Hanno tutti ragione” finalista al Premio Strega. La sua ultima avventura al cinema è stata controversa: “Loro”, uscito in Italia in due parti nel 2018 e poi rimontato per una versione internazionale coronata dal successo, resta una testimonianza davvero inedita del mito e caduta di un potente con le fattezze di Toni Servillo e le sembianze di Silvio Berlusconi.

Come molti artisti Sorrentino ha un passato marcato da un trauma profondo: a 16 anni perde i genitori vittime di una fuga di gas. Al padre lo lega, tra tante altre cose, una passione viscerale per Maradona e la squadra della sua città. Ma, strano a dirsi, sarà lontano da Napoli che troverà la sua anima internazionale, mentre il lungometraggio d’esordio (“L’uomo in più”, 2001) è profondamente intriso dello spirito autoctono e il successivo “Le conseguenze dell’amore” (forse il suo film più riuscito) accompagna un oscuro travet del crimine di camorra sulla via di un singolare esilio, verso la Svizzera. Nel cuore della rinascita napoletana degli anni ’90 l’aspirante regista muove i primi passi: a Teatri Uniti con Mario Martone, sul set di “Il verificatore” con Stefano Incerti alla regia (fa l’ispettore di produzione), nel mondo del cortometraggio (“Un paradiso”, la sua prima prova), a bottega con Antonio Capuano per cui scrive il copione di “Polvere di Napoli”, sui set televisivi de “La squadra”. Per una seconda opera corta, “L’amore non ha confini” (1998) trova in Nicola Giuliano il produttore ideale. Con la Indigo (di Giuliano e Francesca Cima) realizzerà tutti i suoi progetti e la sera dell’Oscar dividerà il palcoscenico con gli amici Nicola e Toni (Servillo). Che è poi il suo doppio dall’altra parte della macchina da presa. In genere i suoi personaggi sono abitati da un segreta schizofrenia che li porta allo sdoppiamento della personalità e guida le loro azioni. Il tema è esplicito ne “L’uomo in più”(esordio nel 2001) in cui due Pisapia si contrappongono : il calciatore di successo e il cantante melodico al tramonto le cui vite si incrociano per un solo, esiziale istante. Servillo (che qui è il cantante) ritorna col doppio volto di un contabile di camorra e un uomo in fuga nel successivo “Le conseguenze dell’amore” (2004), il film che apre al regista le porte del festival di Cannes. All’opera terza abbandonerà i suoi territori tradizionali per una sorta di western nostrano, “L’amico di famiglia” con Fabrizio Bentivoglio, in cui si ritrovano altre due passioni dell’autore: quella per la musica e quella per il noir. Nel 2008 si consuma la sua personale ordalia con l’altro esponente del miglior cinema della sua generazione: Matteo Garrone. Entrambi concorrono per la Palma d’oro con storie idealmente incrociate: il romano Garrone scende negli inferi di “Gomorra”; il napoletano Sorrentino sale a Roma per un ritratto psichedelico del politico Giulio Andreotti con “Il Divo”. Entrambi i film hanno un successo tanto inatteso quanto clamoroso, si attirano polemiche (quelle sul Divo Giulio sedate da Andreotti in persona) e si dividono il Palmarès di Cannes: Premio della Giuria a Sorrentino, Grand Prix a Garrone. Hanno in comune anche Toni Servillo che nella caratterizzazione del Divo, tocca uno dei suoi vertici. Per Sorrentino il film è anche il terreno d’incubazione della sua visione del disfacimento contemporaneo, quello stesso che proporrà, con espliciti rimandi alla “Dolce vita” di Fellini, nel film della celebrazione, “La grande bellezza” (2013).

In mezzo ha dato spazio alla sua anima internazionale, convincendo Sean Penn ad assumere anch’egli (come Servillo) una maschera grottesca per il primo film in inglese, “This Must Be the Place” (2011). Il successo planetario de “La grande bellezza” lo convince a continuare un personale sentiero felliniano con “Youth”. Un anno dopo, nel 2016, si lancerà nell’avventura televisiva con “The Young Pope” (presentato alla Mostra di Venezia e venduto in oltre 80 paesi). Lavoratore instancabile, mette in cantiere sia una seconda serie sempre di ambientazione vaticana (“The New Pope”) che il grande affresco berlusconiano “Loro”.Schivo, poco social, capace di impegnarsi per le cause in cui crede , ama profondamente i suoi interpreti: “I grandi attori sono come i buoni registi: straordinari osservatori della realtà”. Nella vita privata è sposato con Daniela D’antonio e ha due figli: Anna e Carlo. In questi giorni è stato testimone della Roma deserta della pandemia con le sue foto da reporter e artista; si è reso protagonista di una singolare performance in streaming con la Triennale di Milano , ha firmato da direttore artistico il numero tematico di una rivista glamour e prepara il suo prossimo film in inglese, “Mob Girl” .

Giorgio Gosetti, ANSA

Torna in alto