La stilista aveva 73 anni. È stata definita dal «New York Times» la «regina del cashmere». Ha sfilato a Pechino e a Mosca prima degli altri brand
Visse d’arte, archeologa per formazione di studi e stilista per le avventure della vita che — spiegava sorridendo — è sempre capace di sorprenderci, collezionista d’arte futurista di importanza mondiale grazie al gusto infallibile più che ai budget illimitati da hedge fund asiatico, donna coltissima che ai backstage delle sfilate e all’uscita finale in passerella preferiva la compagnia dei diecimila libri della sua biblioteca e dei suoi adorati cani, tutti trovatelli: Laura Biagiotti, scomparsa improvvisamente per un attacco cardiocircolatorio a soli 73 anni, è stata sì «la regina del cashmere» (New York Times) ma soprattutto una dei pionieri della moda italiana, romana cosmopolita che sfilò in Cina quando i marchi giganteschi della moda globalizzata di oggi non esistevano o magari erano valigerie di lusso, in Russia quando gli stilisti superstar di oggi facevano ancora gli assistenti o magari erano ancora alle scuole superiori.
Gli abiti morbidi e i profumi
Figlia di Delia Soldaini Biagiotti, che aveva una bella sartoria romana, prese il business di famiglia e lo trasformò in un’impresa globale, un’azienda di donne fondata da sua madre diretta da lei e, dal 2005, in collaborazione con l’amatissima figlia Lavinia: in un mondo spesso cattivello come quello della moda di lei si sentiva dire soltanto una cosa, anzi due: che era «una signora» oppure «una gran signora». Incapace di vantarsi d’aver conosciuto l’ultimo imperatore della Cina anni prima del film di Bertolucci che trionfò all’Oscar, allergica al trionfalismo – e al vantarsi di qualcosa d’importante – anche quando la Repubblica Italiana la onorò, giustamente, con un francobollo. La moda ricorderà decenni di sfilate di abiti che la signora Biagiotti voleva morbidi come una carezza per coccolare un po’ le donne, che in un mondo così complicato ne hanno bisogno, il beauty ricorderà profumi di gran successo sempre dedicati a Roma la sua città (ma amava Milano, dove sfilava, dell’amore sincero dei romani laboriosi che riconoscono come sia una grande vetrina internazionale per il business e la città ideale per lavorare).
La passione per l’arte futurista
A Milano prestò, con la generosità di sempre, una delle cose più belle dell’Expo 2015, il grande quadro del «Genio Futurista» di Giacomo Balla, gloriosa esplosione di schegge del nostro tricolore che incantò milioni di visitatori: perché di Balla, Laura Biagiotti fu collezionista privata di riferimento, sempre disposta a mandare per il mondo opere alle mostre sul Futurismo da New York a Tokyo che ne facevano richiesta. Collezionista guidata dal gusto e, ancora una volta, dalle vicende della vita: «Una visita casuale in una galleria romana. Una piccola mostra nel 1986 – spiegò a la Lettura del Corriere della Sera – Mi piacque davvero tanto, uscimmo e mio marito mi disse comprali se ti sono piaciuti tanto. Così cominciò tutto, con una decina di pezzi minori».
Matteo Persivale, Il Corriere della Sera