L’Europa vuole lasciare più libertà alle televisioni sugli spot: non più limiti orari ma un limite giornaliero da giocarsi come meglio credono a patto di non fare troppe interruzioni su film e news. È una delle novità contenute nella proposta di modifica della direttiva dei servizi media audiovisivi del 2010 presentata ieri dalla Commissione europea. Per contro su Netflix e gli altri fornitori di video on demand ci saranno obblighi che si avvicinano maggiormente a quelli della televisione tradizionale. Nella proposta, infatti, si cerca di riequilibrare le norme che riguardano i due modelli, soprattutto in ambito di quote di trasmissione di opere europee: non sarà uno sconvolgimento del mercato, ma si cercherà di uniformare le diverse normative sull’argomento dei singoli stati dell’Unione. Per quanto riguarda i limiti di affollamento pubblicitario, non ci sarà più il limite del 20% di spot all’ora (12 minuti) ma soltanto quello del 20% sull’intera giornata, fra le 7 e le 23. Questo significa che le emittenti saranno libere di posizionare le proprie interruzioni pubblicitarie come vogliono, verosimilmente nei momenti di maggiore picco di ascolti, e saranno in grado di mandare in onda anche spot isolati (cosa non possibile prima). Soltanto potranno interrompere i film al massimo ogni 20 minuti. Secondo la proposta presentata dal commissario per il mercato unico digitale Andrus Ansip e da quello per l’economia e la società digitali Günther Oettinger, infatti, oggi la possibilità di scelta è tale che gli spettatori possono rivolgersi anche ai servizi a pagamento che non hanno spot e sarà quindi il mercato a regolarsi. Previste, inoltre, norme più flessibili anche per il product placement. In Italia i limiti di affollamento sono ben più restrittivi: 12% all’ora per la Rai e per le pay tv e 18% all’ora con un massimo del 15% al giorno per le tv nazionali gratuite. Dal momento che la direttiva ammette norme più stringenti dei singoli stati è difficile sapere se e come si muoverà il nostro paese. Altro cambiamento riguarda le quote di trasmissione delle opere europee. Resta il 50% in capo ai broadcaster tradizionali ma per i servizi di video on demand si introduce una quota del 20% e le opere europee, incluse quelle nazionali, dovranno essere ben visibili nella loro offerta. Nella direttiva attualmente in vigore, dove erano già presenti i video on demand (vod), si lasciava semplicemente ai singoli governi il compito di stabilire puntualmente quanto del loro catalogo questi dovessero riservare alle opere comunitarie, comprese quelle nazionali. Con il risultato di notevoli differenze in giro per l’Europa. L’Italia ha già dal 2011 quote più rigide: sui broadcaster tradizionali c’è ovviamente l’obbligo del 50% di programmazione da destinare a opere europee, a cui però si è aggiunto l’onere di investire in produzioni Ue indipendenti il 10% degli introiti netti annui. Parallelamente sull’on demand si prevede già un 20% di catalogo da riservare a opere comunitarie o, in alternativa, l’investimento per la produzione di opere indipendenti del 5% degli introiti. Che cosa cambia quindi in sostanza? «Le quote italiane sui vod si applicano soltanto agli operatori stabiliti nel nostro paese», spiega Ernesto Apa dello studio Portolano Cavallo. «Con questa proposta tutti i paesi dovranno introdurre una quota del 20%, che quindi sarà applicabile anche a operatori come Netflix che è stabilito in Olanda». Resta in capo ai singoli paesi la possibilità di prevedere che i vod investano (non solo programmino) sulle opere europee, come fa l’Italia. Lo potranno fare anche se l’operatore è basato in un altro paese ma solo con quote che riguardino i ricavi locali. In ogni caso, secondo la Commissione già oggi i vod rispettano le quote: i film europei su Netflix sono il 21% del totale e così quelli su iTunes. Infine, nella direttiva media saranno introdotte le piattaforme di video-sharing come YouTube. Continueranno a non avere responsabilità editoriale, ma dovranno adottare misure a tutela dei minori e contro la violenza e l’incitazione all’odio. A proposito della tutela dei minori, invece, viene meno il divieto del porno sulla televisione lineare in seguito all’allineamento dei servizi lineari a quelli on demand, purché si adottino misure adeguate per evitare che proprio questo pubblico possa accedervi facilmente (per esempio criptando). «La bozza della Commissione si propone di modificare la disciplina esistente, senza metterne in discussione l’impianto complessivo. Chi si aspettava un cambio di paradigma resterà quindi deluso», conclude Apa. «I vincoli in materia pubblicitaria vengono resi più flessibili, come richiesto dai broadcaster. Le norme sulle quote europee vengono mantenute e, rispetto al vod, rinforzate, come chiedevano i produttori. Le piattaforme di video sharing vengono assoggettate ad alcuni obblighi, ma il testo tiene conto anche delle loro istanze, riaffermando con decisione i principi della direttiva e-commerce. Eventuali vantaggi per gli utenti dipenderanno da come queste previsioni sanno recepite dagli stati membri».
di Andrea Secchi, ItaliaOggi