E’ morto il cantante, attore e attivista dei diritti civili statunitense Harry Belafonte. Nato nel quartiere newyorkese di Harlem, da genitori giamaicani, il primo marzo del 1927, si è spento a 96 anni. Celeberrimo il suo Banana Boat Song, che popolarizzò la musica caraibica e il calypso
Harry Belafonte, che negli anni 50 aveva sfondato le classifiche pop ma anche le barriere della razza, diventando una forza nel movimento per i diritti civili, è morto nella sua casa dell’Upper West Side di Manhattan, in America. Aveva 96 anni. Nato ad Harlem da genitori giamaicani, Belafonte portò alla ribalta la musica caraibica con canzoni come Day-O (The Banana Boat Song) e Jamaica Farewell. Il suo album Calypso, che le conteneva entrambe, fu il primo di un artista a vendere più di un milione di copie.
IL RE DEL CALYPSO
Belafonte, “il re del calypso”, conobbe la gloria negli anni Cinquanta e fu in prima linea per le sue battaglie umanitarie e la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti. Fu il cantore dei ritmi caraibici con brani “Matilda”, “Day-O”, “Island in the Sun”, “Jamaica Farewell”, “Try to Remember” e “Coconut Woman”. Sedusse il pubblico americano con l’esotismo della sua musica e il carisma delle qualità vocali che lo proiettarono verso un rapido successo, che sarà anche il suo trampolino di lancio contro la segregazione razziale. Nel 1955 il trionfo con “Day-O (The Banana Boat Song)” e l’album “Calypso” (1956), il primo della storia che superò il milione di copie vendute e porterà Belafonte a ottenere sei Dischi d’Oro e tanti Grammy Awards. Belafonte ha anche recitato in numerosi film tra cui “Carmen Jones” di Otto Preminger (1954), “Strategia di una rapina” (Robert Wise, 1959), “Kansas City” di Robert Altman (1996), “Non predicare… spara!” di e con Sidney Poitier (1972), “Bobby” (Emilio Estevez, 2006) sull’assassinio di Bob Kennedy.
Belafonte divenne il primo attore nero a interpretare, nel 1957, una storia d’amore con un’attrice bianca in “L’isola del sole” di Robert Rossen, e anche il primo afroamericano a produrre uno show televisivo e a conquistare un Emmy Award nel 1959. L’artista tuttavia non si contentò di restare un simbolo, ma finanziò la campagna per i diritti civili di Martin Luther King di cui divenne intimo. “Quando la gente pensa alla militanza, pensa sempre che implichi sacrifici, ma ho sempre considerato ciò come un privilegio e un’opportunità” avrebbe ricordato Belafonte in un discorso all’università Emory nel 2004. Nel 1963 donò 50 mila dollari, equivalenti più o meno a mezzo milione di oggi, per consentire a Martin Luther King di uscire di prigione: “Avrei potuto guadagnare 2 o 3 miliardi e finire vittima di qualche crudele dipendenza, ma scelsi di scendere in piazza lottando per i diritti civili”, spiegò in una intervista al Guardian nel 2007.
Diffidente verso gli uomini politici, aveva incontrato John Fitzgerald Kennedy nel 1960 mentre era candidato alle presidenziali. All’inizio non fu troppo convinto da Jfk, che gli dava l’impressione “di conoscere molto poco della comunità nera”. Una volta eletto alla Casa Bianca, tuttavia, Kennedy lo nominò addetto culturale dell’organizzazione di volontariato internazionale Peace Corps. Nel 1987, Belafonte sarebbe stato anche nominato ambasciatore dell’Unicef e si battè contro l’apartheid in Sud Africa, dedicando alla causa anche l’album “Paradise in Gazankulu”. Fu Belafonte il principale promotore di “We are the World”, cantato nell’85 da 45 artisti americani per raccogliere fondi contro la carestia in Etiopia. Nel 2014 ricevette l’Oscar premio umanitario Jean Hersholt in considerazione delle battaglie contro il razzismo e le disuguaglianze. Sposato tre volte, fu padre di tre femmine e un maschio avuti dalle due prime mogli.