Zucchero accende l’Arena di Verona col suo Blues poetico e universale

Zucchero accende l’Arena di Verona col suo Blues poetico e universale

Dopo il grande successo nel Regno Unitoche ha registrato il tutto esaurito anche alla Royal Albert Hall di Londra, il World Wild Tour è approdato in Italia con 14 concerti all’Arena, dal 25 aprile all’11 maggio

Iconico, di quelli che non vuoi vedere vibrare perché è tutta una vibrazione. Zucchero all’Arena di Verona non è più di casa, ma è padrone di casa. Sotto un cielo che minaccia lacrime di pioggia ma si trattiene, quasi ipnotizzato dallo Spirito nel Buio. Poi si rincorrono Soul Mama e il Mare Impetuoso, il ritmo è alto, un soul imponente che poi si scioglie nella carezza di un brano che è lo specchio di quello che stiamo vivendo: non era questo il mondo che sognavo da bambino, canta in Sarebbe Questo il Mondo, e gli applausi sono l’approvazione. Il pianoforte all’inizio e alla fine è un urlo che si prolunga nella Canzone che se ne Va. Zucchero è al centro del palco, sopra di lui un sole, o uno specchio in fiamme, lo incorniciano e ingigantiscono per chi gli fa il coro sulle gradinate. A supporto altri due specchi laterali, più piccoli ma protetti da un cappello, simile a quello che indossa. Chi verrà nelle prossime sere avrà il privilegio di ascoltare Partigiano Reggiano ma vi assicuro che ascoltato la sera del 25 aprile il canto libero che evoca è ancora più potente. Il suo “evviva il 25 di aprile” giunge con una sincerità oggi quasi sconosciuta. Ad accompagnarlo nel World Wild Tour una superband internazionale composta da Polo Jones (Musical director, bass), Kat Dyson (guitars, bvs), Peter Vettese (hammond, piano), Mario Schilirò (guitars), Adriano Molinari (drums), Nicola Peruch (keyboards), Monica Mz Carter (drums, percussions), James Thompson (horns, bvs), Lazaro Amauri Oviedo Dilout (horns) e Oma Jali (backing vocals).

L’urlo fa vibrare l’Arena con 13 Buone Ragioni ma torniamo poi a una levità sovrannaturale, con Ci si Arrende. Ora la notte è davvero accesa, i display dei telefonini portano in Arena la prima via lattea (artificiale) della stagione. La dissolvenza accompagna Pene e ricerca quel cuore perso laggiù in cerca di pace. La lunga coda finale, col pianoforte in rilievo, ha il richiamo del Prog 2.0. Il pubblico è composto, le mascherine restano, per lo più, incollate al volto. La voglia di fare festa è sintonizzata al rispetto per se stessi e il prossimo. Facile porta al fianco di Zucchero Oma Jali che quando accende la voce solo le Alpi distanti possono trattenere. È proprio vero con una singer così a un palmo dal naso tutto è più facile. Quando si levano verso il cielo le prime note di Vedo Nero la sobria compostezza dell’Arena cede ai polpacci guizzanti della platea; perché, strano a dirsi, le gradinate, tranne sparute eccezioni, restano sedute. Ma quando Zucchero invita il suo popolo a tenere il tempo, sostenuto da un muro di percussioni, l’adrenalina sale i gradoni. E si sofferma per muoversi sinuosamente con una gitana, Baila Morena. Alzo gli occhi al cielo, non c’è la luna piena ma è come se ci fosse. Sull’eco danzereccio che si spegne parte il viaggio in fondo ai tuoi occhi, guardando il Blues: Dune Mosse riaccende i cellulari, decine di stelle polari che ci guidano dentro una lacrima o in mezzo al sole e ci fanno gridare… Amore.

Senza Rimorso ha l’incipit talking ma non essendo un Pronto Soccorso può permettersi qualunque gioco di vocalità. Anche un tribalismo d’Africa. Morriconiano l’attacco di Un Soffio Caldo, fatto di sogni che a volte si infrangono al mattino ma se avviene basta chiudere gli occhi e la stagione già risuona. Anticipato da una rumba scatenata si leva un grido di rabbia e dolore, è questo L’Urlo di Zucchero, con gli occhi fissi al cielo pieni di pianto interrotto da un grido dal cuore. La salvezza, dell’anima e del corpo, passa dalla sana e inconsapevole Libidine, con una Arena illuminata a giorno dai potentissimi fari posizionati sopra il palco, dardeggianti sul finale, e tracima in The Scientist che porta Zucchero seduto davanti al suo pubblico: lo chiama l’angolo del teatrino, ringrazia la gente per averlo aspettato in questi due anni e trova incredibile di trovarli tutto qua. Oltre a The Scientist esegue in (semi)acustico Ho Visto Nina Volare di Fabrizio De André, creando un duetto virtuale con Faber che appare sul fondo. Entrambe fanno parte dell’ultimo album Discover e ogni sera cambieranno. Il gran finale, prima dei bis, ovviamente, è con Miserere e sul palco non poteva mancare l’altro duetto dei sogni, quello con Big Luciano. Che emozione vedere Luciano Pavarotti in bianco e nero. Si ha davvero la sensazione di vivere nell’anima del mondo. Chissà come è, oggi, osservare il mondo dal cielo.

Una pausa lunga due pezzi durante la quale Zucchero rifiata prima del rush finale. La super band, una delle migliori in Europa at the moment, ha detto Sugar, intrattiene l’Arena con Staying Alive e Honky Tonk Train Blues, epica sigla di Odeon suonata, nell’originale, da Keith Emerson. Si riparte con Amore Adesso e le immagini di Zucchero che la esegue al piano in una Piazza San Marco deserta, una voce di speranza ai tempi del Covid. Il palco si ripopola con Diamante e Il Volo, momenti di poesia e romanticismo che preludono a un finale scatenato costituito da Per Colpa di Chi e Diavolo in Me. Tutti in piedi ovviamente per il tributo finale ma Zucchero non ha finito, ha in serbo ancora due sorprese: Madre Dolcissima, accompagnata da immagini di guerra e di brutture umane, e Hai scelto me e dunque se ti capita fa che sia tutto diverso. Ha ragione, Adelmo, il Blues salverà il mondo.

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