Per girare ‘Wonder Wheel’ il maestro di ‘Manhattan’ ha scelto il luna park di New York, set iconografico di tante pellicole da ‘I guerrieri della notte’ a ‘Io & Annie’
“Ho sempre amato girare i miei film all’estero. Ma adesso in quale posto puoi andare e sentirti davvero al sicuro? Così ho scelto Coney Island”. Un atto di sfida al supermarket dei sentimenti e alla sicurezza nazionale, quello di Woody Allen, 81 anni, 4 premi Oscar e un film segreto in arrivo – Wonder Wheel – immerso nella New York anni Cinquanta, con Kate Winslet, Juno Temple e Justin Timberlake. Lo scorso autunno abbiamo seguito l’affezionato cappello da pescatore di Allen dal Bronx alla ruota panoramica, altrimenti detta Deno’s Wonder Wheel, sulla penisola di Coney Island (Brooklyn) e spiagge invase da hot dog, luna park, saloon, ispanici, russi e gabbiani. Aggrovigliati su un pontile di legno, l’attrice inglese Kate Winslet in abito da mare rosa, scarpette in mano, e Justin Timberlake che ha sbriciolato i ricciolini d’oro degli ‘N Sync dentro una berretta bianca, leggermente fantozziana. Lei non lo ascolta, sguardo perso nell’oceano, dita tra i capelli rossi; lui regge da imbranato un ombrellone e fa quel che può per riparare la donna dalla pioggia. Solo a guardarla, la coppia è disfunzionale.
Così come lo storico luna park dove i due protagonisti si incontrano (mentre il carrello del dolly scorre) e che i newyorchesi hanno imparato ad amare dopo il tentativo di Fred Trump, padre di Donald, di destinare la superficie ad appartamenti di lusso. È dal parco dei divertimenti di Coney Island che nascono Broadway e il progetto iconografico di New York City, la funhouse dei George Cukor più fuori di testa, capace di frantumare e pasticciare lo showbiz dai giorni in cui Roscoe ‘Fatty’ Arbuckle, Buster Keaton e Joe Bordeaux se la spassavano su un tronco d’acqua, nel corto-commedia del ’17 Coney Island. Allen era già stato da quelle parti: in Io & Annie (’77) il nevrotico Alvy “Max” Singer racconta di essere cresciuto in una casa proprio sotto la montagna russa Thunderbolt, aperta nel ’25 e chiusa nel 1982, poi ricostruita. I tic dell’occhialuto Allen non sono solo uno specchio dello humor ebraico, da Jerry Lewis ai fratelli Marx; sembrano i diretti discendenti di quelle scariche preistoriche. Coney Island non è roba da intellettuali, dicono, eppure i racconti di O. Henry ne sono densi, idem per Il Grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald e la serie di action figure G.I. Joe della Hasbro. Nel nostro immaginario il cinema di Walter Hill fluttua sopra quelle spiagge, con la Wonder Wheel rosa elettrico piantata nella sabbia da cent’anni e le scritte dei titoli di un profondo rosso, ne I guerrieri della notte (1979), quando i Warriors e Rogues sono raggiunti dai Riffs verso il duello finale, da Stillwell a West 15th, incrociando i bagni pubblici di Stauch, una delle zone di cruising gay durante la Depressione.
Certo, il cinema non basta: dal 2012 l’organizzazione no-profit Coney Island USA ha dovuto ricostruire il Coney Island Museum, al numero 1208 di Surf Avenue, e gran parte del quartier generale, in seguito al passaggio dell’uragano Sandy. Diverse infrastrutture hanno ceduto, artisti-residenti sfrattati, la rete idroelettrica fuori uso. Il centro artistico, fondato nel 1980 per promuovere le arti e la cultura di massa americana, ha coperto i costi della ricostruzione (405.000 dollari) tramite donazioni di privati. Solo due anni dopo l’alluvione, Coney Island ha deciso di riattivare la sfilata delle sirene, la gara a chi mangia più hot dog sotto lo stand di Nathan’s, e le nuove attrazioni a opera del tycoon italiano Alberto Zamperla. Il museo, oggi, contiene la collezione di memorabilia più vintage: costumi da bagno, top, risciò, autoscontri, giochi, cartoline e modelli in 3D della Coney Island anni Venti/Trenta. L’artist-in-residence Marie Roberts ci dice: “La nostra organizzazione deve tanto al cinema, al fumetto e alla letteratura, ma a fare grande Coney Island sono i circensi, i freaks, sempre meno pagati, e così le imprese di P.T. Barnum, il burlesque e i rettili”. Un modello 3D del luna park ha il compito di portare turisti tra Brighton e Manhattan Beach, dove tasso di criminalità e gang non invogliano a metter piede. Ray Valenz, trentenne, inside talker al Coney Island Circus Sideshow, fa il mangiatore di fuoco, il giocoliere con il machete e lo human blockhead: “Ho ingoiato qualche spada nella mia carriera però il fascino di Coney Island sta anche in questo: gli incidenti”. Tra case degli specchi, Cabana Doors (spogliatoi) e reliquie degli high striker, da colpire per testare la forza delle braccia, spuntano gioielli in ottone e un museo di cera aperto nel ’26 da Lillie Santangelo e suo marito. Dieci esibizioni in totale, un centinaio di artisti, attori e performer a stagione. C’è pure un esempio di piastra su cui si cucinavano gli hot dog. “Il primo parco, Steeplechase Park, lo ha inaugurato George C. Tilyou” ricorda Roberts che, scambiando quattro chiacchiere con Allen, sotto una nuvola di zucchero filato, sposa in pieno la sua teoria: “Il vero luna park oggi sono i ciclisti che pensano di poter scorrazzare in libertà per New York. Ma per favore! La città al massimo è per pedoni. E sono, anzi siamo, tutti matti da legare”.
Filippo Brumaroti, La Repubblica