Tratto dal bestseller omonimo esce in sala il 26, 27 e 28 aprile ‘Lui è tornato’, il lungometraggio che racconta di un ritorno di Hitler settant’anni dopo. David Wnendt, il regista, ha messo a confronto l’attore che lo impersona con la gente per strada, in una sorta di candid camera
Una fetta di nostalgici italiani ha evocato attraverso i decenni il Paese di “quando c’era Lui”, in uno sconsolato confronto con il degrado del presente. Lui era, ovviamente, Benito Mussolini. Ma anche il sinonimo dell’Uomo Forte che sconfigge le paure che governano questi tempi incerti: la crisi economica, l’invasione degli immigrati, il terrorismo islamico. Lo scrittore tedesco Tumur Vermes ha immaginato il Lui tedesco, Adolf Hitler, tornato nella Germania del presente in un romanzo satirico di straordinario successo, Lui è tornato (Er ist wieder da).
Il regista 39enne David Wnendt, trasponendolo al cinema, ha fatto un passo ulteriore e messo il führer (l’attore Oliver Masucci) risvegliatosi nel luogo in cui settant’anni fa c’era l’ultimo bunker e oggi invece un quartiere residenziale, a confronto con i cittadini tedeschi in una sorta di candid camera alla Borat. Il risultato è un film divertente, a tratti grottesco, ma anche un allarmante ritratto della recrudescenza di idee xenofobe e totalitarie in Germania. Disponibile su Netflix, il film è distribuito in sala il 26, 27 e 28 da Nexo Digital.
Wnendt, il film prende un’altra direzione rispetto al libro.
“Sì. Ho letto il romanzo e ho capito subito che sarebbe stato interessante metterne alla prova la tesi principale. Il libro immagina le conseguenze e le reazioni della gente al ritorno di Hitler. Ma è una sorta di fantasy in cui tutto è inventato, situazioni e personaggi. Io invece ho scelto un approccio documentaristico per tentare un esperimento: capire come nella realtà la gente reagirebbe trovandosi davanti Hitler in carne ed ossa. Così abbiamo iniziato un viaggio, lungo e difficile, girando con persone incontrate per strada. La cosa stupefacente è che la gente lo accoglieva con entusiasmo, si faceva dei selfie, si confidava con il finto Hitler. In molti si sono dichiarati di destra, contro gli stranieri e la democrazia. Magari sono persone che non parlano ai media, ma davanti a Hitler si lasciavano andare senza remore”.
Che ritratto dei tedeschi esce dall’”esperimento”?
“Abbiamo girato prima della crisi dei rifugiati, ma già erano palpabili i sentimenti di grande frustrazione e rabbia di tanta gente. Non abbiamo girato solo a Berlino e Monaco, abbiamo viaggiato in tutta la Germania. E ovunque, incontrando operai o classe media, abbiamo registrato il rigetto del sistema politico e la paura del radicalismo musulmano. Questo scontento non è radicato nella realtà. Perché queste persone vivono buone vite, hanno un lavoro, belle case, non hanno nessun contatto con immigrati o rifugiati. Non sono guidati dall’esperienza personale. Esprimono una rabbia che è comune in Europa come in America, nei confronti di una classe dirigente che si percepisce come corrotta. Questo apre la porta alle idee autoritarie”.
Del film in Germania si è discusso parecchio.
“Al pubblico è piaciuto. Ma il tema si è mangiato il film, nelle discussioni. Ne sono felice: il cinema non cambia convinzioni e abitudini, ma accende il confronto”.
Com’è stato recepito in altri paesi?
“Il film è stato distribuito soprattutto su Netflix, ho avuto pochi incontri con il pubblico in sala, ma dalle reazioni sui social ho capito che non è mai stato frainteso, scambiato per una celebrazione di Hitler, né liquidato come una semplice operazione di candid camera”.
Nel film un gruppetto di italiani alla porta di Brandeburgo si fa ritrarre con Hitler e il braccio alzato.
“Non mi stupirei se in Italia ci fosse una reazione simile all’esperimento che ho fatto in Germania. La gente oggi ha paura, il mondo è complicato e allora si cercano uomini forti. Perciò Silvio Berlusconi da voi ha avuto un così grande e lungo successo”.
Hitler è oggetto di una grande produzione culturale.
“Rappresenta una figura e una parte importante nella nostra storia. Ma questo è un momento particolare, perché le idee autoritarie stanno ritrovando strada, anche in altri paesi, accompagnate da un sentimento di nostalgia”.
Si può ridere di Hitler?
“Se ne discute ogni volta. C’è chi ritiene pericoloso mostrarlo troppo umano. Secondo me ritrarlo come un mostro, un demone significa dargli tutto il potere e la responsabilità di ciò che è accaduto. Ma è chiaro, ed è ridicolo per certi versi, che la responsabilità dell’Olocausto e di tutti i crimini è dei tedeschi che li hanno resi possibili e vi hanno partecipato sostenendo Hitler. Restituirgli umanità, togliergli l’etichetta da mostro, rende più chiara la responsabilità del popolo tedesco”.
Repubblica