‘DALIDA’, QUELL’ANIMA FRAGILE RIVIVE CON SVEVA ALVITI

‘DALIDA’, QUELL’ANIMA FRAGILE RIVIVE CON SVEVA ALVITI

Le passioni, i momenti oscuri, il suicidio. Il 15 febbraio su RaiUno il film sulla vita della cantante franco-italiana. Parla l’attrice che la interpreta

Sveva Alviti - DALIDAQUANDO canta Je suis malade con tutto il dolore del mondo, Sveva Alviti mette i brividi: il volto, i gesti, l’emozione sono quelli di Dalida. Del film dedicato alla celebre cantante, campione d’incassi in Francia, colpisce soprattutto l’incarnazione perfetta della finora sconosciuta protagonista, che ha battuto 250 rivali, tra cui Penelope Cruz e Laetitia Casta. La regista Liza Azuelos ha detto ai produttori, che premevano per attrici più famose, che non avrebbe fatto il film senza Sveva. Aveva ragione. La 31enne ex modella si è rivelata la scelta vincente del biopic che ripercorre canzoni, amori e lutti di Iolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalida: l’infanzia al Cairo, il primo concerto all’Olympia di Parigi nel ’56, il successo in Francia, il tragico Sanremo in cui morì Luigi Tenco, fino al suicidio della cantante, il 3 maggio di trent’anni fa.
‘Dalida’, un film sulla diva della canzone
Per Sveva Alviti diventare Dalida è stato un impegno totale, un’ossessione, una grande fatica a cui il suo corpo ha reagito in diretta televisiva: l’attrice è svenuta durante una trasmissione di Canal +, facendo preoccupare milioni di spettatori. Ha cancellato ogni impegno e ora parla per la prima volta, al telefono dalla casa di Montmartre. La voce è allegra: «Sto bene. Si è trattato solo di un virus che mi ha provocato fortissimi crampi allo stomaco, convulsioni, amplificate dallo stress di essere in diretta. Mi è spiaciuto che abbiano messo questo momento in rete. La verità è che ero fisicamente provata, è stato un anno duro. A un certo punto il mio corpo ha detto “basta, Sveva, ora fermati”». Qualche giorno di riposo, in attesa della promozione italiana: il film – realizzato da Pathé con Rai Cinema, andrà in onda il 15 febbraio su RaiUno, ma prima Sveva sarà sul palco dell’Ariston al Festival di Sanremo di Carlo Conti. «Non potrei immaginare nulla di più bello che chiudere lì questo viaggio umano e professionale che ha cambiato la mia vita».
Si esibirà come Dalida sul palco?
«Non so ancora cosa farò. Più che a un brano triste come Je suis malade, penso a un’esibizione allegra, che restituisca la bella energia. È un onore essere lì a ricordarla trent’anni dopo sua morte, cinquanta dopo quella di Luigi Tenco».
Lei e Alessandro Borghi, che interpreta Tenco, avete girato alcune scene all’Ariston.
«Sì. L’esibizione di Ciao, amore ciao. In playback, ovviamente, ma sul palco cantavo davvero, tutto il brano, anche se nel film ne resta una piccola parte. Con Lorenzo Borghi abbiamo avuto poche scene ma intense: è stato uno dei suoi grandi amori. Uno dei tre uomini che ha amato e che si sono tolti la vita, segnando anche il suo destino. Per capire Dalida sono partita da un’intervista televisiva che lei aveva dato poco dopo il tentativo di suicidio, subito dopo la morte di Tenco».
Cosa l’ha colpita?
«La sua tristezza. E quella frase, quando l’intervistatore le chiede “lei ha scelto la vita”: lei risponde “è la morte che non mi ha voluto”. Una piccola frase che racchiudeva l’enorme sofferenza. Per conoscerla è stato fondamentale l’aiuto del fratello Orlando, che le è stato vicino e in fondo è il vero uomo nella vita di Dalida. Per avere il ruolo ho fatto sette provini. All’inizio neanche volevo tentare. Ero a New York in un momento in cui, dopo tanto studio con un’insegnante come Nicole Kidman, pensavo di rinunciare a fare l’attrice. Poi ho mandato il primo video, con il telefonino, in cui cantavo Gigi l’amoroso (accenna la canzone al telefono, ndr). Ma Liza Azuelos l’ho convinta a Parigi con l’esibizione di Je suis malade. Alla fine Liza piangeva e pure io: “Je suis Dalida” ho detto, e lei “Je le sais”, lo so. Il fratello Orlando invece non era convinto, la sua approvazione era necessaria. Mi sono esibita ancora per lui, si è commosso, “ora sei la mia sorellina”. Mi ha lasciato per ore nel loro ufficio. Ho visto i dischi, le foto, i documentari rari. E mi ha insegnato tutto: il modo in cui Dalida parlava, quello in cui si toccava i capelli, il gesto che faceva per ringraziare il pubblico. Mi ha aiutato non a imitare Dalida, ma a diventare lei. Mi ha regalato un paio di orecchini d’oro, di quelli vistosi che andavano allora. I vestiti nel film sono stati fondamentali, hanno accompagnato la sua evoluzione, mi hanno aiutato a calarmi nella ragazza di vent’anni e nella donna di cinquantaquattro anni. Soprattutto mi ha aiutato la presenza di Riccardo Scamarcio, che nel film è il fratello Orlando. Pieno di talento, generoso, simpatico».
In Francia la sua interpretazione è stata molto lodata.
«Un riconoscimento che mi restituisce grande fiducia. Il film è stato venduto in 12 paesi, mi sono piovute offerte di lavoro in Francia. Sapevo che questa era la mia grande occasione, ma credo che il segreto di questo successo sia nel fatto che mi sono messa al servizio di Dalida. Ho studiato francese per sette mesi, danza, canto…».
In cosa si sente simile a Dalida?
«Nell’intervista che mi ha folgorato parlava di morte e amore, le due costanti che hanno attraversato la sua vita. Anch’io come lei credo nell’amore, in quello eterno, e ho sofferto in passato. Mi sento simile a lei nel bisogno di dare e di essere amata, nella sua forza e nella sua fragilità. È stata una donna più moderna rispetto all’epoca in cui ha vissuto. È stata segnata duramente da un aborto: ma non voleva un figlio, a 34 anni, da un ragazzo di 22. In seguito non ha più potuto averne, e non ha mai trovato l’amore della vita. Ha sofferto tanto, ma se n’è andata in modo dolce. Quando ho girato per dodici ore la scena del suicidio sono tornata a casa turbata. Per me la vita è la cosa più grande».
Quale canzone canta ancora di Dalida?
«Non so dire, ne ho imparate tredici. Me ne piacciono molte. Durante il set non dormivo mai la notte per ripassare tutte le parole. Ora, per un po’, voglio solo il silenzio».

di Arianna Finos, La Repubblica

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