Jovanotti: “Il mio corpo è un Lego, mi hanno segato il femore da sveglio”

Jovanotti: “Il mio corpo è un Lego, mi hanno segato il femore da sveglio”

L’intervista al Corriere della Sera: “Mi scoprì la moglie di Cecchetto a Palinuro, mi disse “’se ti vede Claudio, impazzisce'”
Pubblicato:25-11-2024 10:41Ultimo aggiornamento:25-11-2024 10:41

Tutto Jovanotti, quasi minuto per minuto. Si racconta ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. A cominciare da luglio 2023, Santo Domingo, l’incidente in bici. “Andavo in bicicletta su una strada asfaltata da due giorni, c’era un dosso non segnalato, ho fatto un volo sbagliato. Ho visto il piede al contrario, la clavicola fuori. Ambulanza. Ospedale più vicino. Poi ospedale più attrezzato. Il femore non si era rotto; si era sbriciolato. In particolare il trocantere. Mi hanno operato alla bell’e meglio. Ma non potevo tornare in Italia: nessuna compagnia aerea mi voleva imbarcare, il rischio di embolia o di trombosi era troppo alto. Così sono rimasto a Santo Domingo un mese. In Italia mi facevano lastre, risonanze, e vedevo facce preoccupate. Avevo una gamba quattro centimetri più corta dell’altra. Bisognava ricostruire l’osso, ma prima dovevo aspettare sei mesi: al trocantere sono attaccati i tendini e i muscoli, ed era tutto vivo. Mi hanno operato da sveglio. Otto ore di anestesia totale erano troppe. Sentivo le martellate; ma era come se le dessero a un altro. L’ortopedico in fondo è un falegname. Mi ha segato il femore a metà, e l’ha sostituito con una sbarra di titanio, circondata da pezzetti delle mie ossa. Una specie di Lego“.
Che bisogno c’era di chiamarsi Jovanotti? “Mettevamo su i dischi e registravamo la musica su cassette da un’ora, che rivendevamo per poche migliaia di lire: “Dammi la prima ora”, “io vorrei la seconda ora”. Non dico fosse un furto, ma mica potevamo metterci su nome, cognome, indirizzo. Così mi inventai questo nome d’arte, collettivo: Jovanotti”.
Jovanotti, figlio d’un gendarme del Vaticano. “Sono più ecumenico del Papa. Vicino a casa c’era un bar, noto ritrovo di fascisti. Poi andavo dagli scout, e il mio capo squadriglia leggeva Lotta Continua in chiesa. Mio padre era grande e grosso. Accompagnò un amico all’esame: scartarono l’amico e presero lui. Fu il parroco di Cortona a consigliarlo di presentarsi alla visita: don Amilcare, celebre per aver ucciso la perpetua. Non lo fece apposta. Omicidio preterintenzionale. La perpetua era rimasta incinta, ma don Amilcare aveva già un figlio in paese e non ne voleva un altro. Così le fece bere un decotto di prezzemolo; e lei morì”.

Emanuela Orlandi “era amica di mia sorella. Anna voleva iscriversi alla scuola di musica vicina a Sant’Apollinare, ma era tutto pieno. Un giorno le telefonarono: si era liberato un posto. Era quello di Emanuela. Per mia sorella divenne un’ossessione. Ha studiato il caso, incontrato suo fratello. La verità non la sapremo mai. Mio padre era convinto che Emanuela fosse stata vittima di un maniaco, e il Vaticano non c’entrasse nulla”.
Due fratelli più grandi, “Bernardo e Umberto, che è morto a 46 anni, caduto con l’aereo che stava collaudando per conto di un amico. È stato lui a iniziarmi alla musica, ai cantautori. Io lo rivedo tutti i giorni. Mi sto dimenticando le sue mani, la sua voce, perché certe cose bisogna lasciarle andare; ma noi due siamo sempre insieme. Come diceva il babbo, a Umberto partiva un treno al giorno: il clarinetto, la chitarra, le donne… Era un cristiano vero, andava a messa ogni domenica, girava con la Bibbia in macchina, tutta sottolineata. Ora quella Bibbia ce l’ho io”.
Gli inizi. “A 19 anni ero già tra i due o tre dj importanti di Roma. Sabato e domenica pomeriggio al Piper, tutte le sere al Veleno, vicino a Via Veneto: ci sono passato qualche anno fa, ora è un locale per scambisti. Feci un’estate a Porto Rotondo e una a Palinuro, dov’era in vacanza la moglie di Cecchetto. Venne alla consolle e mi disse: “Se ti vede Claudio, impazzisce”. Così le lasciai il numero di casa”.
Cecchetto “mi telefonò a settembre: “Mia moglie, da cui sto per divorziare, mi ha segnalato te. Siccome non mi ha mai segnalato nessuno, verresti a Milano?”.
Papa Francesco? “Il Papa è un monarca. Un’istituzione. Umanamente, Francesco mi piace, mi diverte, mi emoziona. Gli si vuole bene. Ma l’idea che la Chiesa si debba trasformare in una onlus non mi pare del tutto condivisibile. La Chiesa è trascendenza. È la presenza di Dio nella storia. La Chiesa è casa mia. Ci sono nato dentro”.

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