Cervello in fuga (anche se dice di averne poco), sempre in bilico su un amletico dilemma shakespeariano: il «vero» Giovanni Vernia faceva l’ingegnere, ma poi il Joker (solo comico, non psicopatico) che è in lui ha preso il sopravvento. La sua anima doppia emerge anche nei suoi impegni a teatro. Ora il tour italiano (Vernia o non Vernia), la prossima estate a New York lo spettacolo in inglese (How To Become Italian). Nato a Genova 46 anni fa, laurea in ingegneria elettronica con il massimo dei voti (mica scemo, dunque), Giovanni Vernia ha sempre dovuto combattere con se stesso: «Il filo rosso della mia vita è la lotta con il giullare che è in me e viene fuori anche nei momenti meno opportuni. È sempre stato così, ho iniziato a fare le parodie dei parenti a casa; poi degli insegnanti a scuola; quindi dei capi al lavoro, solo che la voce si spargeva e non ero visto di buon occhio; non ero gradito, promuovevano tutti tranne me. A un certo punto si è preso la scena il pirla che è in me. E la tv mi ha legittimato a farlo».
L’istinto da intrattenitore e il paradosso caustico hanno ucciso la meticolosità dell’ingegnere, i numeri sono diventati solo comici: «Cerco di osservare con occhi diversi quello che è sotto gli occhi di tutti. Tutto ha un lato divertente, stravagante, surreale, bisogna solo tirarlo fuori… È il ruolo del comico, trovare il tallone d’Achille della realtà».Vernia o non Vernia è uno spettacolo molto autobiografico — parte dai suoi inizi, tra cadute, inciampi e risalite —, poi diventa un viaggio attraverso i luoghi comuni di questi strani tempi moderni. Tempi anche molto arrabbiati: «La gente si ferma al titolo; prima commenta, poi forse si informa; di un talk di quattro ore rimane solo la rissa. La gente è incattivita, c’è bruttezza dovunque ti giri se ti lasci trasportare dalla corrente. Ma io non mi lascio trascinare».
Molta radio (su Rds), molto web (su Facebook sfiora i 2 milioni), dopo i fasti di Zelig, la tv non è più luogo per comici: «La tv non mi soddisfa per come è pensata oggi, fai il tuo pezzettino comico, due applausi e te ne vai». La sua riserva dei panda sono stati prima Porro e poi Del Debbio, un’edizione di Tale e quale show con Carlo Conti. Non faceva per lui. «Il mio obiettivo è fare repertorio e riadattarlo per la tv, in un vero show comico». La (satira) politica non rientra nel suo codice di divertimento: «Appena dici politica scende un clima plumbeo, dà un’idea di pesantezza. La satira sociale mi diverte di più».
Così ecco How To Become Italian, un intero show — caso unico in Italia — in inglese, per platee straniere. «È un viaggio autoironico nei vizi del nostro modo di essere, noi siamo un popolo irrimediabilmente comico». Agli stranieri illustra uno dei pilastri dell’italianità, la norma del «just one». «Perché noi interpretiamo le regole a modo nostro. Non trovi parcheggio? Metti la macchina dove ti pare e se poi ti dicono qualcosa, rispondi: just one minute, solo un minuto. La fila alle poste? Passo davanti a tutti, del resto è solo just one question, solo una domanda. Ti beccano a letto con un’altra? Beh, just one time…». Vernia ironizza anche sul nostro modo di intendere l’amore. «I cantanti stranieri sono sempre allegri quando parlano d’amore, noi sempre melodrammatici. Pensiamo alla differenza tra I Love You Baby di Gloria Gaynor, con quel ritmo così spensierato, e Te voglio bene assaje, che ti sprofonda nella depressione. Il fatto è che noi siamo un popolo che pensa al futuro, sappiamo già come va a finire…».
Renato Franco, Corriere.it