QUEI “VECCHIETTI” TERRIBILI FANNO TENDENZA COL BLUES

QUEI “VECCHIETTI” TERRIBILI FANNO TENDENZA COL BLUES

Nel nuovo disco, in uscita il 2 dicembre, i classici della musica del Diavolo riletti con forza e passione

ROLLING STONESSe lo dice lui: «Abbiamo iniziato con il blues e, alla fine, è quello che stiamo ancora facendo». Mezzo secolo dopo.
Mick Jagger riassume in due frasi il nuovo disco dei Rolling Stones che è il primo di inediti a metà: loro non incidevano un intero nuovo album dal 2005 ma questi sono brani scritti e già pubblicati da altri musicisti, da maestri come Little Walter, Lightnin’ Slim, Howlin’ Wolf e Jimmy Reed (e in questa pagina Antonio Lodetti spiega chi sono stati e perché sono importanti). Insomma Blue & Lonesome, che esce il 2 dicembre è un (grandioso) omaggio al blues e molto probabilmente l’ultimo sogno ancora irrealizzato di una delle poche band capaci davvero di cambiare musica e costume del Novecento: ricordare da superstar le canzoni che suonavano quando erano nessuno. Quando nei club microscopici della Londra non ancora swingin’ salivano sul palco e suonavano brani di Elmore James o di Muddy Waters o di Slim Harpo (I’m a king bee) o di Willie Dixon (I just want to make love to you). «Con questo disco il mio sogno è finalmente diventato realtà» dice Keith Richards nell’intervista collegata alla pubblicazione dell’album. In effetti qui in Blue & Lonesome si va proprio alla radice degli accordi che tuttora innervano il rock. Si capisce in I gotta go di Little Walter o in Ride ’em on down pubblicata da Eddie Taylor nel 1955: l’armonica suonata da Mick Jagger e la chitarra di Keith Richards si intrecciano, sono sofferenti, malinconici, persino sensuali. In Little rain la lentezza è sfiancante e il ritmo è ipnotico, qualcosa di straniante e allucinogeno ben prima di qualsiasi peyote consumato a Woodstock. Per farla breve, i più radical storceranno il naso dicendo che queste dodici tracce sono la solita solfa buona per la nostalgia canaglia. Può essere. Ma, nei tre giorni di registrazione ai British Grove Studios a West London, i Rolling Stones sono riusciti a imprigionare una energia unica e molto più dirompente di quella che dovrebbe pulsare in tanti dischi registrati da ventenni o trentenni all’arrembaggio. La voce di Jagger è miracolosamente immacolata. E la chitarra di Keith Richards ha il suono del blues bianco più sporco e incontaminato perciò assai coinvolgente. Ad esempio, in Everybody Knows è così sofferto da lasciare di stucco e in I gotta go riesce a giochicchiare così bene con l’armonica da sembrare inciso negli anni Cinquanta tanto è autentico. Una lezione per tutti, specialmente per chi prova ancora a ingolfare di forza e passione i propri dischi. Poi, certo, c’è il «mestiere», che viene fuori più chiaramente in Hoo Doo blues o Just like I treat you ma, si sa, persino il «mestiere» degli ultrasettantenni Rolling Stones è ormai di gran lunga più autentico di quello di tanti altri sedicenti rockers neo diplomati. Oltretutto in due brani si è aggiunta la chitarra di Eric Clapton, una partecipazione sostanzialmente indolore. «È stato un gioco del destino – ha spiegato Ron Wood -. Gli avevamo chiesto se voleva suonare in Everybody knows e I can’t quit you baby. In quei giorni aveva molto male alle mani, ma ha suonato in un brano usando la tecnica finger style e nell’altro sfruttando la chitarra slide. Insomma è accaduto qualcosa di magico».
E in quello che realisticamente potrebbe essere l’ultimo disco di inediti degli Stones (attenzione: lo si dice da venti anni…), la band suona più vera e autentica di quanto lo sia sembrata negli ultimi dischi. E non esagera il produttore Don Was (produce con Jagger e Richards) quando dice che Blue & Lonesome è «un testamento manifesto della purezza del loro amore per la musica». In realtà è proprio così, perché raramente si è ascoltato un disco così controtendenza da una band che ha fatto tendenza per decenni.

Paolo Giordano, il Giornale

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