Le chiamano campagne di sensibilizzazione. E in effetti spesso ci riescono a toccarla la sensibilità. Anzi: ad urtarla. È finito nell’occhio del ciclone lo spot realizzato dalla Rai per lanciare un messaggio in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nelle ore in cui ci si prepara a riflettere sul fenomeno del femminicidio, sui social infiamma la polemica. Ultimamente questi esperti di comunicazione non ne azzeccano una (fertility day memories). Ma l’esperienza, a quanto pare, non insegna. Stavolta, però, nonostante al centro di slogan e quadretti ci siano sempre le donne, il tema ha l’aggravante del sangue. Come affrontare, allora, una questione tanto delicata? «Diamo voce ai bambini», avranno pensato gli addetti ai lavori incaricati di mettere in piedi uno spot per la rete ammiraglia. Se è una verità che si vuole raccontare, d’altronde, quale migliore strumento dell’ingenuità dei più piccoli?
Così, nel video viene chiesto a maschietti e femminucce cosa vogliono fare da grandi. I baby protagonisti, dalle finestrelle vuote dei loro denti, danno aria ai sogni: il poliziotto, il maestro di sci, la stilista sono alcune delle risposte. Perché funziona così: a 10 anni immagini un futuro in cui fai il lavoro dei tuoi sogni, fai quello che ti piace e riesci addirittura a viverci. E bisogna pensarlo, almeno a 10 anni. Poi la tenerezza viene spezzata da una bambina bionda, con i boccoli e la faccia seria seria: «Quando sarò grande finirò in un ospedale perché mio marito mi picchia». Fine. Schermo nero e “Rai contro la violenza sulle donne” che campeggia in mezzo al silenzio. Ci sarà un motivo se tanta parte di pubblico è rimasta interdetta oppure l’estro del team Rai è un genio talmente incompreso da farci passare per moralisti, esagerati, incapaci di comprendere un sottotesto assai più profondo? E non perché il cliente ha sempre ragione.
Tanta comunicazione che passa attraverso i social media ci ha abituati (anzi, assuefatti) a claim e immagini choc perché nel mare magnum di internet se non sei eccessivo rischi di passare inosservato.
Ma qui c’è qualcosa che sfugge: una bambina che dichiara che da grande “farà” la vittima di violenza al pari della compagna di banco che, invece, farà la stilista trasmette qualcosa di inquietante e poco subliminale. Che significa? È questione di genetica? Due cromosomi X danno come risultato una sorte già scritta?
È la sensazione della predestinazione che lascia assai perplessi davanti allo schermo. Allora che senso hanno giornate come il 25 novembre, che senso ha il lavoro dei centri antiviolenza, che senso hanno gli incubi e il coraggio delle vittime che bussano alla porta delle forze dell’ordine per denunciare le brutalità subite? Il riscatto e la giustizia vanno a finire nell’indifferenziata e nell’indifferenza perché tanto sei donna e se sei donna da grande insieme ad una laurea appesa al muro ci troverai le macchie di una violenza domestica.
I social non restano a guardare e su twitter la rabbia prende la forma di post in cui si chiede di lasciare in pace le bambine, di non insegnare la remissione e di non usare i soldi pubblici così. Ché già c’è chi fa i conti e le spese per un fenomeno che, soltanto in 10 mesi del 2016, ha spezzato la vita di 116 donne. Susanna Camusso ritwitta il messaggio di #nonunadimeno che chiede la rimozione di uno spot “offensivo e dannoso”, e Remigio Del Grosso, vicepresidente del Consiglio degli Utenti dell’Agcom, avalla l’iniziativa. Nella lettera alla presidente Rai Monica Maggioni, #nonunadimeno, sostenendo l’inviolabilità del corpo femminile sin dall’infanzia, spiega: «Il vostro spot dà per scontato che almeno una bambina da grande sceglierà un uomo violento per marito, che non saprà mettersi in salvo per tempo né chiedere aiuto, che non potrà scegliere la sua vita e il suo destino, che sarà picchiata e finirà in ospedale. Ancora peggio, che questa sarà la sua identità. Lei sarà soltanto una moglie picchiata».
L’immagine scelta per la campagna è un volto di donna con gli occhi tumefatti. Peccato che il video tiri un altro pugno nello stomaco. Se tre cose ci sono rimaste del paradiso, le stelle, i bambini e i fiori, come scriveva Dante, perché prendere le bimbe e raccontare loro che finiranno dritte in un inferno?
di Rachele Grandinetti, il Corriere della Sera