Riccardo Fogli: «Con i primi soldini mi compro una Porsche di decima mano, non entravano neppure le marce. Una sera andiamo in discoteca, parcheggio davanti alla nuovissima Lancia HF Zagato di Dodi, tutta di alluminio. Faccio retromarcia senza veder nulla, gli vado addosso, lui esce dal locale e mi urla “Vaffa…, piombinese di merda!”. Dalla rabbia chiude la portiera così forte che il suo vetro va in frantumi. La mia assicurazione non l’ha mai ripagato, sospetto che mi abbiano chiamato per la reunion per saldare il conto!».
Roby Facchinetti: «Riccardo si pavoneggiava per questa Porsche che era una fregatura. Al tempo ci esibivamo fissi in un locale dell’Eur, di fronte a Corsetti. Appena ritirata la macchina, ci fece salire tutti a bordo per andare a lavorare. Sulla Colombo si fermò al semaforo e gridò: “Sentite che rombo! Questa è la prima! E la seconda! La terza!”. Lì scoppiò il motore. Spostammo la Porsche a spinta e proseguimmo in autostop».
Stefano D’Orazio: «Sulla Milano-Torino eravamo tutti nella Mercedes gialla, guidava Riccardo. Continuava a dirci: “Senti come sculetta, senti come sculetta”. Alla fine non la controllò più, finimmo dentro una stazione di servizio senza farci nulla. Fogli, incredibilmente, tornò in autostrada a cercare una borchia che avevamo perso. Poi ripensò all’incidente e disse: ora siamo più uniti. E scrisse “Amici per sempre”».
Dodi Battaglia: «Eravamo tutti ammucchiati nel retro del furgone, di ritorno da un concerto. Avevo diciassette anni, ero magrissimo e timidissimo. Roby mi intimò: “Devi diventare il più bravo chitarrista italiano”. E io: “Più bravo di Alberto Radius della Formula Tre?”. E Roby: “Non esageriamo”. Ma due anni più tardi, dopo un tour tedesco, il periodico “Stern” mi indicò come miglior chitarrista europeo. Solo dopo si accorsero di me gli italiani».
Roby: «Ricordo quella serata. Stavamo rincasando da uno show in un paesino emiliano. Gli dissi così perché eravamo depressi. In quel posto c’erano due locali, e il nostro era rimasto desolatamente vuoto. Nell’altro c’era il tutto esaurito per la Formula Tre».
Red Canzian: «A Roncobilaccio i Pooh tenevano le audizioni per il nuovo bassista dopo l’uscita di Fogli. Ne avevano provinati più di cento, anche dalla Francia e dalla Germania. Pare che tra i candidati vi fosse pure il padre della Pausini, ma nessuno di noi lo ricorda. Ce lo ha garantito Laura: “non sarei al mondo se mio padre fosse stato ingaggiato”. Comunque, avevano quasi preso un ragazzo, un orchestrale di Forlì che era mio amico, e aveva speso una fortuna per invitarli tutti a cena. Purtroppo per lui arrivai io. Un amico toscano del loro manager mi anticipò il verdetto: “S’è saputo che sei bellino, che canti benino”. “Però non suono il basso!”, obiettai. E lui: ” ’Un sarà miha un problema. Una o due corde si tagliano!”. Solo una decina d’anni fa, riguardando le foto di quel giorno, ho capito perché gli altri chiamavano quel posto “Il Paradiso del Culo!”».
Stefano: «Ti credo, era un magazzino, c’erano ammucchiati centinaia di rotoli di carta igienica. Però si mangiava benissimo. Quante ne abbiamo combinate. Fummo i primi a usare l’effetto fumo nei concerti. Usavamo i tossicissimi fumoni rossi d’allarme nautico. A metà degli anni Settanta, all’inizio della canzone “Alza la fiamma agli Dei”, c’era uno dei nostri tecnici appollaiato sotto la batteria per accendere il fuoco. Una volta accorse questo pompierino alle prime armi che mi scaricò l’estintore addosso. Diventai tutto bianco. Alla fine dello spettacolo l’effetto era talmente piaciuto che volevano lo ripetessi. Ci sono teatri dove i nostri danni sono ancora visibili. A La Spezia, sul soffitto, ci sono tuttora le macchie nere dei nostri lanciafiamme a gasolio».
In questa irripetibile epopea l’uomo chiave è stato il fondatore dei Pooh, Valerio Negrini, scomparso due anni fa, che del gruppo fu primo batterista e paroliere. In una band che deve gran parte della propria fama ai brani sentimentali, Negrini lavorò per costruire canzoni incentrate su temi sociali e politici in anticipo sui tempi.
Dodi: «A questa reunion manca quella grande persona e quell’artista che era Valerio. Fu così intelligente e astuto da utilizzare la nostra popolarità per veicolare concetti inaspettati. Era il nostro John Lennon, aveva un’anima e una cultura rock. “Pensiero” è uno dei pezzi per così dire fraintesi. Il protagonista è un uomo carcerato ingiustamente, il cui pensiero è l’unica cosa libera che può volare oltre quelle sbarre. Ma che dire di “Senza frontiere”, vent’anni prima dell’emergenza immigrazione? O dell’omosessualità in “Pierre”, il razzismo verso gli zingari in “Gitano”, le problematiche del servizio di leva in “Classe ’58”, la prostituzione delle ragazze dell’Est o addirittura, agli esordi, della guerra che avevamo in casa nostra con “Brennero ’66”, ispirata da un attentato in Alto Adige dove perse la vita un finanziere».
Roby: «Cantavo io “Brennero ’66”. Al Festival delle Rose, che veniva trasmesso per radio, ci costrinsero a cambiare il titolo in “Le campane del silenzio” e a rinunciare al verso “t’hanno ammazzato quasi per gioco”».
Stefano: «Fino agli anni Novanta pochi si erano accorti che non cantavamo solo i sentimenti, e che questi li mostravamo da un lato non banale. Anche gli addetti ai lavori parevano distratti. Eppure illustravamo il disagio, perfino quello degli extraterrestri. E l’isolamento personale. A Sanremo, per “Uomini soli”, subimmo una piccola censura per il verso “perduti nel Corriere della Sera”, che violava il regolamento perché faceva pubblicità. Ma con la nostra vittoria al Festival in tanti presero a rileggere il nostro passato. “Città proibita” citava il massacro di Tienanmen, “Lettera da Berlino Est” anticipava di sei anni la caduta del Muro, e “Terry B.” raccontava la storia della modella che aveva ucciso un playboy italiano. “Piccola Katy” era una sedicenne scappata di casa».
Red e Roby: «Ma una volta la musica era il collante di una generazione che vi vedeva dentro lo strumento di una rivoluzione sociale, di nuove consapevolezze. I giovani vi si rispecchiavano, per la prima volta, dopo che i genitori avevano imposto loro silenzio e obbedienza. Oggi la musica non si ascolta più. Al massimo, la si sente in sottofondo nei bagni e nei bar. E anche per questo, per l’amore che mettiamo in ogni composizione, sarà giusto smet terla qui, con un gran finale».
Per ora tre concerti, magari con ospiti. E inediti.
Red e Dodi: «Ospiti? Non ci servono quelli suggeriti dalla tv. Penseremo semmai agli amici. Mario Biondi ci aveva spedito prima di essere famoso il provino di “Ci penserò domani”. I Negramaro vorrebbero salire sul palco con noi per suonare Parsifal”! Chissà. Gli inediti non sappiamo. Una coppia non festeggia le nozze d’oro facen do nuovi figli».
Riccardo: «E canzoni da portare nel cuore. Mio figlio ha 23 anni. Quando andava all’asilo fui convocato dalla maestra: “Lei è il signor Fogli? Non ho niente contro i Pooh, ma potrebbe insegnargli un’altra canzone? È tutta la mattina che ci canta Piccola Katy!».