Marisa Berenson e l’11 settembre: mia sorella morta, di lei ho solo un anello

Marisa Berenson e l’11 settembre: mia sorella morta, di lei ho solo un anello

Kubrick, la vita privata, lo show a Spoleto: parla l’attrice. «Mia sorella vittima dell’11 settembre:di lei è rimasto soltanto un anello. Le tragedie pesano, mi aiuta la fede»

Marisa Berenson è l’incarnazione dello chic. A casa dei suoi genitori a Natale c’erano Greta Garbo e Audrey Hepburn. E’ stata fra le prime top model, amica di Dalì, ha lavorato per Visconti e Kubrick. E nell’immaginario, a 72 anni, continua a rimanere la moglie malinconica di Barry Lyndon. Appartiene a una famiglia importante che ha vissuto in maniera esagerata privilegi e drammi: ha perso sua sorella l’11 settembre del 2001 nell’attacco terroristico alle Torri Gemelle.Il 29 giugno al Festival di Spoleto porta Berlin Kabarett di Stéphan Druet, che ha debuttato con grande successo (tre riprese) a Parigi. «Una esperienza del tutto inattesa».

Perché?

«Per la prima volta ballo e canto. Sono la proprietaria di un cabaret nella Repubblica di Weimar. Donna tremenda, marcia; una ex prostituta disposta a tutto per sopravvivere. Si concede ai nazisti in un mondo dominato da decadenza dei costumi e miseria economica».

Cosa vedremo in scena?

«Il mio ufficio, il diario dove annoto tutto, una scatola con i soldi, le sigarette, il rossetto. In scena siamo in sette, un attore interpreta mio figlio che è un travestito che detesto. Poi i musicisti. Fuori c’è l’Apocalisse, dentro il locale invece la libertà più sfrenata, un mondo a parte».

Non aveva mai cantato.

«No, soltanto un disco con Tom Jones, pensare che amo il jazz, Ella Fitzgerald, Billie Holiday. E ho sempre studiato il ballo. E’ una cosa diversa da tutto quello che ho fatto finora, anche se per l’epoca e le atmosfere ricorda molto Cabaret, il film che feci con Liza Minnelli, di cui sono molto amica: malgrado tutto ciò che ha vissuto, è divertente, generosa, piena d’amore. Ha un coraggio pazzesco. In questo spettacolo realizzo il mio sogno di una commedia musicale».

Oggi si può essere seducenti a ogni età.

Sorride: «In scena porto le calze a rete. La sensualità ce l‘hai dentro, non dipende dall’anagrafe, in giro vedi ragazze fredde come ghiaccioli. Ballare per me è una cosa naturale. Mi tengo in forma con le diete e l’esercizio, lo yoga. Ho una filosofia olistica che pratico da anni, mi suggerisce come devo essere all’interno del mio corpo e all’esterno, nell’anima».

I suoi incontri leggendari.

«Andy Warhol scherniva la gente ricca, Truman Capote era un piccolo uomo complessato. Il cinema…Visconti lo conobbi attraverso Helmut Berger, in Morte a Venezia mi diede un ruolo non sapendo se potevo recitare. Ha creduto in me. Hai la mia benedizione, mi disse. Kubrick non era difficile come si dice. Sono persone fuori dalla norma. Barry Lyndon fu una sorta di incantesimo, di cui però restai prigioniera. Per un’attrice è importante anche uscire da una immagine. Quella donna è rimasta dentro di me per molto tempo».

Ma Lady Lyndon sembrava il suo ritratto…

«Rispecchiava la mia malinconia. Ora lo sono molto meno. Fa parte della vita, liberarsi di certe cose. Sono cresciuta in un ambiente severo e aristocratico, ho perso mio padre che avevo 16 anni, ho cominciato a fare la fotografa, a cercare la mia indipendenza. Sono cresciuta accanto a donne molto forti, mia madre e mia nonna…».

La celebre stilista Elsa Schiaparelli.

«Per truccarsi usava la punta nera del cerino. Si oppose quando Salvador Dalì, che viveva circondato da ghepardi, chiese di ritrarmi nuda».

Si è alleggerita malgrado il dramma di sua sorella.

«Berry è rimasta vittima dell’11 settembre. Era sul primo volo che si è schiantato sulle Torri Gemelle. Io ero su un altro aereo, che dopo l’attentato fu dirottato su un’isola dell’Oceano Atlantico e mi ritrovai bloccata per una settimana in una base navale. Mi restituirono un anello appartenuto a Berry, l’unico oggetto rimasto di lei, che era la moglie di Anthony Perkins. Sono tragedie che pesano. Mi ha aiutato la fede».

L’ha scoperta allora?

«No, l’ho sempre avuta. Da adolescente pensai di fare la suora in convento. Poi sono stata proiettata in un mondo che era tutto il contrario. Senza psicoterapeuti ho capito che si può essere spirituali e affacciarsi al mondo, dove è più difficile vivere che in un monastero. Nella maturità, ho cercato la luce. Ho voluto evolvere. Mia figlia mi ha fatto diventare nonna di Luna».

Una nonna che la sera a teatro mette le calze a rete.

«Ho diversi corteggiatori, ma non esco con uomini giovani, dipende da cosa vuol dire essere giovane. Sto benissimo da sola, non ho bisogno di avere un uomo nella vita, è anche bello fare la nonna. Poi se un altro amore verrà…».

Valerio Cappelli, corriere.it

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