Le accuse di molestie ai ragazzi hanno oscurato uno dei più grandi musicisti del secolo scorso
Dieci anni senza Michael Jackson sono un tempo infinito. Un’assenza, da questa terra, che dura in realtà da molto di più, il silenzio discografico risale ormai al 2001 e stiamo parlando di un mondo in cui c’erano ancora gli album e la nuova uscita di un LP era foriera di grandi aspettative e entusiasmo dei fan. Nel 2009 erano da poco entrati in commercio gli smartphone, i social quasi non esistevano e la musica si fruiva ancora nel modo classico. Quell’epoca oggi ci appare lontanissima, a cominciare dal fatto che uno come Jacko non è più apparso all’orizzonte, che il pop oggi è una roba di plastica, il soul-funky si è imbastardito con l’elettronica, il rock lo ascoltano solo gli adulti e soprattutto non c’è più nessuno che balla come lui. Quando tireremo le somme di questo decennio senza Michael, cosa ci resterà: Coldplay, Lady Gaga, Rihanna, non c’è proprio da stare allegri. Di solito la morte di un autore così importante e ancora piuttosto giovane provoca un automatico processo di beatificazione, basti pensare a Kurt Cobain, Amy Winehouse, persino Chris Cornell: è invece no, nel caso di Jacko, aleggiano le ombre delle tante oscurità, delle infinite ambiguità, che lo hanno trasformato da personaggio fiabesco a essere mostruoso in preda alle sue manie.Troppe cose erano sbagliate in quel ragazzo mai maturato: il rifiuto della propria identità e appartenenza, il voler cancellare dalla propria pelle il colore scuro a costo di diventare un fantasma trasparente (inconcepibile per un cantante soul che fa della neritudine una bandiera), la deformazione al fine di inseguire un ideale di bellezza artificioso e teorico come il post-umanesimo, la confusione sul sesso vagamente mutuata da Andy Warhol, la paura di tutto, fino dell’aria, l’ipocondria portata alle estreme conseguenze e, soprattutto, le accuse di molestie sessuali ai danni di minori che da mito dei teenagers lo hanno trasformato in mostro pericoloso. Accuse da cui, peraltro, è stato completamente scagionato, eppure il danno ormai è stato fatto e neanche post-mortem la riabilitazione è definitiva, tanto che il suo ricordo si sposta molto indietro, ai tempi di Thriller, quando il ragazzino da poco uscito dai Jackson Five fu capace di pubblicare uno degli album più importanti e il più venduto nella storia della musica contemporanea. Era il 1982 e con quel lavoro nacque anche una nuova estetica del videoclip, pensato non tanto per pubblicizzare il singolo, quanto per inventare una inedita forma linguistica: un piccolo film affidato alla regia di John Landis, il cameo di Vincent Price, la coreografia alla West Side Story, il tutto dilatato a oltre 7 minuti. Una rivoluzione, in seguito solo imitatori.Dieci anni senza un genio assoluto della musica, mentre Jean-Michel Basquiat è morto 31 anni fa. Unico legame tra i due, sono stati entrambi la prima stella assoluta di colore, entrambi incapaci di reggere al successo. Basquiat si è autodistrutto con l’eroina ma resta un mito soprattutto per i giovani, Jackson se ne è andato in modo misterioso e inspiegabile, come nella trama di un giallo, e infatti è in uscita in questi giorni sul Nove il documentario Killing Michael a indagare sulle strane figure che gli giravano intorno, a cominciare dal medico personale. Anche Sky Arte ne fa un ritratto con un documentario in onda stasera alle 22.05. Nel suo caso, comunque, nessuna riabilitazione, al meglio una coltre di indifferenza. Ucciso dalla mostruosità di essere additato come un pedofilo? Forse è troppo, eppure non riusciamo a immaginarcelo oggi, non si sarebbe più tirato su, da quando abbiamo scoperto il #metoo e la sua nuova caccia alle streghe in versione 3.0, chiunque pronto a denunciare e farsi un po’ di pubblicità, a sputtanare lo stesso mondo in cui fino a ieri sguazzava con malcelato orgoglio.Non si può, non si deve dimenticare che Michael Jackson ha rappresentato uno dei vertici della musica alla fine del 900 e che la cronaca nera abbia preso il sopravvento su un talento assoluto e cristallino. Ad accorgersi della stortura, dell’assurdità del giudizio, e tentare di porre rimedio, ci ha provato in qualche modo l’arte, con la mostra Michael Jackson. On the Wall promossa a Londra e Parigi tra 2018 e 2019, con quaranta artisti (oltre a Warhol, Kehinde Wiley, David LaChapelle, Keith Haring e altri) che hanno reso omaggio alla grandezza in vita e postuma. Eppure anche in questo caso, rispetto ai grandi show su Bowie e Pink Floyd, l’evento è passato in secondo piano. Il fantasma di Jacko continua ad abitare il regno fatato di Graceland, che in troppi hanno voluto trasformare nella grotta del mostro.
Luca Beatrice, ilgiornale.it