L’ex mezzobusto del Tg1, oggi conduttore de “La vita in diretta”, racconta il proprio impegno in nome dei diritti civili, passato anche dal coming out dopo la bocciatura del ddl Zan, e del fidanzato. «Troppe persone si ergono a giudici delle vite degli altri. Le categorie sono pericolose. I pregiudizi? Come un rumore di fondo costante»
«Sono sempre coerente con me stesso, sia che si tratti di difendere dei diritti civili o di portare avanti piccole lotte personali. Ad esempio a dieci anni ho deciso che non avrei mai più sciato, e così è stato». Per Alberto Matano, 50 anni il prossimo settembre, l’uomo degli ascolti Rai alle stelle (18 per cento in media con la sua Vita in diretta , pochi giorni fa il record del 22%), è tempo di bilanci. Giornalista, autore e conduttore televisivo, calabrese «naturalizzato» romano, sex symbol, ragazzo della porta accanto, attivista, si definisce un «gentile con il pugno di ferro».
Come quando ha annunciato alla sua famiglia che non li avrebbe più seguiti in montagna?
«Sì sono una creatura marina, quel rito della salopette e degli scarponi mi affliggeva. Non ho più rimesso gli sci».
Un bambino ingestibile?
«Non proprio, forse con le idee chiare. Ho una foto di me piccolissimo che piango perché indosso il costume di Arlecchino. Quel costume non l’ho mai più messo».
«I MIEI GENITORI CI HANNO SPEDITI, ME E MIA SORELLA ADOLESCENTI, NEGLI STATI UNITI SENZA FARE UN PLISSÉ. VOLEVANO CHE FOSSIMO CITTADINI DEL MONDO»
Da che tipo di famiglia proviene?
«Una famiglia incredibile, che mi ha dato sempre il suo appoggio. Mia mamma ha studiato a Roma, dalle Dorotee. Siamo tre figli: mia sorella Maria Luisa vive a Milano, mio fratello Vincenzo a Bruxelles, lavora al Parlamento Europeo».
Una famiglia vincente. Metodo spietato da mamma tigre o accudente, da mamma «elicottero»?
«I miei genitori ci hanno spediti, me e mia sorella adolescenti, negli Stati Uniti senza fare un plissé. Volevano che fossimo cittadini del mondo. Ma senza mai farci mancare la cura e il senso del rincasare tipico delle famiglie del Sud».
Da Catanzaro a Roma, passando per la Scuola di Giornalismo radiotelevisivo di Perugia. Come si diventa Matano?
«È banale dirlo, ma con grande lavoro e dedizione. Sono il tipico professionista cresciuto dentro a un’azienda, ho cominciato da stagista. Poi al Tg1 è arrivato Mario Orfeo che mi ha affidato, dopo quella delle 13.30, la conduzione del tiggì delle 20».
Il primo giorno di telegiornale?
«Ho pensato che c’erano piu di 5 milioni di telespettatori: ho detto “buonasera” e ho dovuto raccogliere tutto il fiato che avevo in corpo per proseguire».
«IL MIO SPECCHIO. PER ME È DECISIVO CAPIRE COSA SI ASPETTA, INTERCETTARLO. AL TELEGIORNALE AVEVO UNA STRUTTURA ALLE SPALLE»
Cosa indossava?
«Un completo blu troppo classico, con una cravatta troppo classica. Cose che oggi non sceglierei più, mi sono “alleggerito”, ho trovato nuovi codici e nuove parole per arrivare al pubblico».
Il rapporto con il pubblico.
«L’elemento fondamentale, il mio specchio. Per me è decisivo capire cosa si aspetta, intercettarlo. Al telegiornale avevo una struttura alle spalle, con La vita in diretta sono uscito allo scoperto: o andava malissimo o benissimo. Per fortuna è accaduta la seconda cosa».
Quale è stata l’intuizione giusta?
«Modellare il programma su di me: ogni giorno va in onda una creatura che ho cresciuto con cura. Sento la responsabilità di un programma storico, di cui però ho modificato il racconto».
«MANTENGO I PIEDI PER TERRA, POI LA RUBRICA DEL TELEFONINO CHE TI RICORDA CHE TU SEI LO STESSO DI SEMPRE, MA QUALCOSA NELLA TUA VITA È CAMBIATO»
Qual è il termometro della notorietà?
«Quando incontro persone che conosco da anni e mostrano un certo imbarazzo. E poi la rubrica del telefonino che ti ricorda che tu sei lo stesso di sempre, ma qualcosa nella tua vita è cambiato».
Che numeri ha in agenda?
«Quelli degli amici, dei colleghi, la chat di famiglia. In mezzo però ci sono gli attori, i politici, gli imprenditori, un messaggio di Laura Pausini, un vocale di Massimo Ranieri. Mi fa sorridere questa commistione».
Gli amici tra i colleghi?
«La mia più cara amica, Ida Colucci, l’ho persa ed è un dolore ancora insopportabile. Ci sono Costanza Crescimbeni, con la quale siamo cresciuti insieme alla redazione del politico, Emma D’Aquino, la mia room-mate al telegiornale e Maria Luisa Busi, con cui ho condiviso tante maratone. Fuori dalla redazione c’è una coppia, lui è un bravo implantologo, lei è una super mamma: sono un prolungamento di famiglia».
Il mestiere di conduttore sminuisce quello di giornalista?
«Mai, pensare a compartimenti stagni è un limite. Ho iniziato a 27 anni facendo l’inviato politico e ritrovandomi davanti al presidente del Consiglio: ho sempre fatto tutto con serietà e professionalità, gli unici veri paletti che un professionista si deve dare».
«DAVANTI ALLA DIFESA DI DIRITTI FONDAMENTALI NON POSSO TIRARMI INDIETRO, IL RICHIAMO È TROPPO FORTE»
Ha usato la sua notorietà in veste di attivista, facendo coming out dopo lo stop del DDL Zan in Senato. E parlando di omofobia ha detto: «È successo anche a me quando ero adolescente, l’ho provato sulla mia pelle».
«Ho sempre pensato che la mia vita privata non dovesse essere oggetto di attenzioni morbose e l’ho protetta con determinazione. Ma davanti alla difesa di diritti fondamentali non posso tirarmi indietro, il richiamo è troppo forte».
Cosa ha provato sulla sua pelle?
«Non sempre certe ferite hanno a che vedere con la sfera sessuale. Io ero un ragazzino molto minuto, questo mi esponeva e da piccolo certi attacchi diventano un magma indistinto».
«NEL CORSO DELLA MIA VITA NON HO AVUTO CONFINI NELLA MIA AFFETTIVITÀ. E L’ULTIMO SANREMO CI HA DATO UNA LEZIONE: NON CI SONO CATEGORIE DOVE ESISTE AMORE»
Perché non ha mai parlato finora della sua vita sentimentale?
«Perché ritengo sia giusto e sano proteggere i propri sentimenti. E poi le etichette mi sono sempre andate strette. Nel corso della mia vita non ho avuto confini nella mia affettività. E l’ultimo Sanremo ci ha dato una lezione: non ci sono categorie dove esiste amore. Se con il mio compagno decideremo di sposarci, allora lo annunceremo e condivideremo la nostra gioia con tutti».
Vorrebbe sposarsi?
«Si e magari senza far passare troppo tempo. Forse è tardi per diventare genitori: si è fatta “una certa” per i figli… »
Il gossip la infastidisce?
«Molto, ma non ci posso fare nulla. A volte leggo delle storie assurde: “Con chi sta Matano?” oppure “Matano via dalla Vita in diretta”».
«LA VITA IN DIRETTA VA AVANTI CON LA FORZA DEI NUMERI. IN 25 ANNI DI RAI POSSO DIRE DI NON AVER MAI VISTO UNA PERSONA DI TALENTO RIMANERE INDIETRO»
O ancora che esiste una potente «lobby» alle sue spalle.
«Ecco, appunto, e io rispondo con i fatti: un programma come La vita in diretta va avanti con la forza dei numeri. In 25 anni di Rai posso dire di non aver mai visto una persona di talento rimanere indietro: è come stare in autostrada, io sono entrato con la mia “Smartina” e di sorpassi qualcuno ne ho visto. Ma ho raggiunto la mia meta: non mi sento più una canna al vento, ma una quercia con le radici ben salde».
Voleva essere dove è oggi?
«Volevo fare il giornalista radiotelevisivo e la televisione vive anche oggi una nuova riscossa nonostante ci siano i social, che frequento con moderazione».
Potrebbe condurre Sanremo.
«Magari il prossimo anno canto, vado in gara… siamo seri… faccio il tifo per Amadeus, professionista straordinario, anche umanamente. Noi del Sud siamo fatti in un certo modo e la gente mi vanto di riconoscerla al primo sguardo».
«SO COSA ASPETTARMI DA UNA PERSONA APPENA LA CONOSCO. CON MARA VENIER È STATO COSÌ: CI SIAMO RICONOSCIUTI ED È DIVENTATA UNA SORELLA»
Istintivo?
«So cosa aspettarmi da una persona appena la conosco. Con Mara Venier è stato così: ci siamo riconosciuti ed è diventata una sorella. Mi ha invitato a Domenica in a cantare Buonasera Dottore . In taxi l’ho provata tutto il tempo, il tassista mi guardava male».
Un tratto del suo carattere?
«Sono un gentile determinato. Se credo in un’idea alzo anche la voce. Ma sono uno Stromboli: le mie eruzioni non fanno quasi mai male».
Si lascia consigliare?
«Il mio è un lavoro di team, ascolto sempre, poi però decido io. Tra le cose che mi rendono più orgoglioso c’è che tanti miei collaboratori stanno prendendo il tesserino da professionisti. Io sono stato un giovane supportato dai “maestri”, da Gianni Riotta a Daria Bignardi a Stefano Coletta, che mi ha guidato nel passaggio all’ infotainment ».
Qual è la missione di un giornalista ?
«Scendere in campo per difendere dei diritti. Quando si parla di cose che la gente vive sulla propria pelle, è il momento di intervenire. Troppe persone si ergono a giudici delle vite altrui».
«IN TRASMISSIONE DA ME NON TI ASPETTI LA TRAPPOLA, NON SONO UNO DI QUELLI CHE TI INVITA PER METTERTI IN DIFFICOLTÀ»
L’orientamento sessuale può condizionare una carriera?
«Le categorie sono molto pericolose e certi pregiudizi ci sono sempre, come un rumore di fondo».
Cosa pensa del termine fluido?
«Lo trovo realista e contemporaneo. I giovani lo hanno fatto proprio».
Come ha vissuto il periodo del Covid?
«In modo quasi monacale, lontano dalla mia famiglia. Ai miei genitori abbiamo regalato Alexa e oggi li controlliamo a distanza… loro si dimenticano che “lei” c’è e noi li sentiamo battibeccare. È molto divertente».
«LE PERSONE SI DEBBANO PRIMA DI TUTTO FIDARE DI UN GIORNALISTA. UN CONTO È AVERE AUTOREVOLEZZA, UN CONTO È ESSERE SCORRETTI»
Perché tutti vogliono venire in trasmissione da lei?
«Perché non ti aspetti la trappola, non sono uno di quelli che ti invita per metterti in difficoltà».
Più si è temuti, più si è autorevoli. Non è più così?
«Credo che oggi, per come va il mondo, le persone si debbano prima di tutto fidare. Un conto è avere autorevolezza, un conto è essere scorretti».
Cosa le dicono i suoi genitori dopo la diretta?
«Sono sempre dalla mia parte. Poi quando di domenica ci colleghiamo attraverso Alexa, mi riprendono: sei pallido, hai mangiato?, su fatti la barba …».
di Michela Proietti Corriere della Sera