Il cantautore fu trovato cadavere a Sanremo il 27 gennaio 1967. Un libro svela aspetti inediti della sua vita e della sua fine
Vittoria e Beatrice sono due studentesse delle superiori genovesi. Non conoscevano Luigi Tenco. E non sembrano turbate dal suicidio, il 27 gennaio 1967 all’Hotel Savoy di Sanremo. «Ci stupiamo semmai da quello che scriveva. Conosceva bene le donne».
A cinquant’anni di distanza oggi esce un nuovo libro sul cantautore, Vita di Luigi Tenco (Bompiani, 316 pagine, 12 euro), scritto da Aldo Colonna, secondo il quale si trattò di omicidio, non di suicidio, e rimanda a un «libro bianco» di prossima pubblicazione che dovrebbe aggiungere documenti alle supposizioni. Di Tenco, che, dice Colonna, era «un intellettuale, un chierico irriverente» si è sempre parlato come di un genio fragile, forse incompreso.
La sua fede comunista, «con una misteriosa tessera del Pci presa a Genova e poi scomparsa», era molto più forte di qualsiasi impegno sbandierato da lì a poco dai colleghi più giovani. Tenco non ha avuto il tempo di incassare ai festival dell’Unità, ma un giorno intimò all’amico Frezza di scendere dall’auto perché, fascista, ironizzava su uno spettacolo mandato in Italia dai Soviet.
Se per ricordare la contemporaneità delle canzoni di Tenco andrà benissimo lo show di Gioele Dix accompagnato dal pianista Andrea Bacchetti, lunedì al Teatro Duse di Genova, con ingresso libero e tanti studenti come Beatrice e Vittoria in platea, il libro di Colonna, autore sempre sul filo del rasoio, 68 anni, darà qualche dispiacere a chi vorrebbe un Tenco da non mettere mai in discussione, com’è successo a Fabrizio De André e al mito infausto della città degli ultimi, quella di dropout e prostitute, che Genova sta ancora subendo.
Per fortuna di chi vorrà avvicinarsi all’autore di Mi sono innamorato di te e Vedrai vedrai, Colonna non enfatizza sulla scuola genovese dei primi Anni 60, anzi ricorda un commento di Bruno Lauzi, «non ce ne siamo mai accorti».
Affronta invece la roccia granitica che pesava su Tenco: non conoscere il vero padre sino a quando diventò adulto, il mistero della morte violenta di chi gli aveva dato il nome, e una generale propensione a relazioni con donne sposate «come a punire la madre Teresa».
È inevitabile che si torni sempre al punto di partenza: il suicidio. Secondo Colonna fu una vera esecuzione «perché Luigi aveva scoperto le combine dietro il Festival, il giro di scommesse clandestine, il traffico di stupefacenti, la corruzione», in un torbido intreccio con l’affascinante Dalida e soprattutto l’ex marito Lucien Morisse, discografico «legato al clan dei marsigliesi, potente anche al Festival, geloso al punto di considerare Tenco pericoloso».
Sui pasticci commessi dopo il ritrovamento del cadavere sono stati spesi fiumi d’inchiostro, sino a una sostanziale pace con la Storia stipulata dagli eredi, i nipoti Giuseppe e Patrizia, ma non dalla cognata Graziella che ancora scandisce: «Non ho mai creduto che si sia tolto la vita». Ci troviamo davanti a un uomo che oggi sarebbe di moda anche solo per l’aspetto, tenebroso e bellissimo. Dice Colonna: «Una sua fiamma, all’epoca sposata, mi ha confidato: “Luigi faceva colpo sulle donne perché sapeva di terra”».
Per di più era un compositore raffinato, intrigato da qualsiasi barriera: «Provò Lsd e mescalina per curiosità, dopo aver letto Huxley, mentre detestava cocaina ed eroina per motivi ideologici. Aveva un atteggiamento morale su qualsiasi aspetto dell’esistenza e si comportava di conseguenza». Ma sapeva essere anche ironico: «Ciao amore ciao riprende il tema di “Auferstanden aus Ruinen”, inno della Repubblica Democratica Tedesca». Vittoria e Beatrice non lo immaginano neppure, probabilmente bastano le parole delle canzoni.
di Renato Tortarolo, La Stampa