Nonno Tedeschi: “Se il pubblico non può venire a teatro, siamo noi a dover andare da lui”

Nonno Tedeschi: “Se il pubblico non può venire a teatro, siamo noi a dover andare da lui”

Un nonno racconta la fiaba della buonanotte al nipotino, che però ne vuole una nuova, non “Pinocchio”, non “Hansel e Gretel”, non “I tre porcellini”. Il nonno racconta, il bimbo si addormenta: si ritrova trasportato in un mondo onirico e arcano (anche un po’ inquietante, come in ogni fiaba che si rispetti) che si apre su un grande spazio in penombra: una platea vuota. «Ma questo è un sogno?», chiede il piccolo. «Non è un sogno. Si chiama Teatro» è la risposta. Applausi, inchino, nero.

È il video “Il sogno del Teatro”, da pochi giorni postato su Youtube, omaggio al e del Teatro Franco Parenti, dove è stato girato, a tutti i teatri che come quello sono vuoti e chiusi, ma che non smettono di traspirare la loro immutata magia. Corrado Tedeschi e il (vero) nipotino Giacomo ne sono protagonisti. Regia di Alberto Sansone, anche l’idea è di Tedeschi.

L’attore/conduttore avrebbe dovuto portare in scena ben tre nuovi spettacoli in questa stagione: la commedia “Amore mio aiutami” con Debora Caprioglio al Manzoni a fine ottobre, “Partenza in salita” al Martinitt con la figlia Camilla a novembre, e infine “Note in bianco e nero” a febbraio, proprio al Parenti. Per non parlare di “La coscienza di Zeno”, che aveva appena debuttato al San Babila quando a febbraio ci fu il primo stop dei teatri, e di “Montagne russe” con Martina Colombari, interrotto in piena tournée. “Note in bianco de nero” è l’unico a essere andato in scena: in anteprima, una sola replica, a settembre.

Tedeschi, come ci si sente?
«Depressi e monchi. A chi fa questo mestiere con passione, manca assai. Le limitazioni sono giuste ma per il teatro sono ridicole. E poi guardate questi giorni: a tutti vendono imposti pochi contatti, e poi giri il centro e lo trovi affollatissimo. Non capisco questa pretesa frenesia di far regali e acquisti».

Lei non ne farà?
«Forse ai miei nipotini. Ma per loro è facile: gadget della Samp, la squadra per cui tifano da sempre».

Tifosi di una squadra genovese: ma vivono a Milano?
«È una lunga storia e parte con me: nella Sampdoria ho giocato un’altra vita fa, quando – giovanissimo – facevo il calciatore. Prima della tv e del teatro».

Non ama fare regali. Ma che rapporto ha con le Feste, considerando che queste in arrivo saranno, come il teatro, monche e piene di limitazioni?
«Le ho sempre adorate. Il Capodanno per un attore è uno dei momenti più belli: in sala, con il pubblico, a brindare all’Anno Nuovo. C’è un forte senso di vicinanza e comunità. E invece quest’anno anche questa consuetudine ci mancherà. Come mi è mancato aprire la stagione in quel fantastico salotto milanese che è il Manzoni».

Almeno un assaggio del pubblico però lei lo ha avuto. Molti neppure quello.
«L’ha detto, un assaggio, un’unica data al Parenti, a settembre: sala esaurita ben 15 giorni prima della data. Vediamo come sarà la situazione a febbraio, quando il Parenti ha rimesso in cartellone questo spettacolo omaggio a Bill Evans e Miles Davis e allo storico album “Kind of Blue”. Intanto però sono saltate anche le date della commedia con mia figlia al Martinitt».

Astinenza da teatro a parte, come ha affrontato i ripetuti lockdown?
«Molto male, con la depressione dietro l’angolo, tenuta sotto controllo facendo ricorso a tutte le risorse psicologiche possibili. Ho compensato con le mie dirette a giorni alterni su Facebook (facebook.com/tedeschidado), dove ho una community di fedelissimi: pezzi di teatro e chiacchiere varie con cui surrogare un pubblico lontano».

Di stare fermo non se ne parla, comunque. Ora se n’è inventata un’altra, giusto?
«Se il pubblico non può venire a teatro, siamo noi attori ad andare da lui: con “Teatro a domicilio”. In entrambi i casi un modo divertente per riempire questo vuoto».

Il vaccino è dietro l’angolo. E dà speranza. Alla fine, come pensa che ne usciremo?
«Dobbiamo avere ancora molta pazienza. E, no, non penso che ne usciremo migliori: piuttosto un po’ incarogniti».

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