Il regista Adam Mckay racconta “Vice” sul vicepresidente ai tempi di George W. Bush, protagonista Christian Bale
Dick Cheney è un personaggio chiave della politica americana degli ultimi 25 anni, un politico poco conosciuto ma che secondo molti è stato il vice-presidente più potente di sempre. Con alle spalle una gioventù da studente indisciplinato e amante dell’alcool, è diventato un leader dell’industria petrolifera e il braccio destro di George W. Bush, con un ruolo decisivo nelle due guerre che seguirono agli attentati dell’11 settembre, in Afghanistan e in Iraq. Adam McKay, regista premio Oscar per La grande scommessa, lo racconta in Vice – l’uomo nell’ombra, pellicola che ha ricevuto sei nomination ai Golden Globes, in uscita in Italia il 3 gennaio con Christian Bale come protagonista, Amy Adams nel ruolo di sua moglie e Sam Rockwell in quello di Bush. «Sono sempre stato affascinato da Cheney. Tutti sappiamo chi è ma in realtà nessuno lo sa davvero. È un uomo che ha sempre fatto di tutto per evitare i riflettori, ma ha avuto un potere immenso e ha cambiato la storia non solo per gli Stati Uniti ma per il mondo intero», racconta McKay.Il regista ha creato una commedia noir che ha però anche il carattere di un documentario. «Per scrivere la sceneggiatura ho fatto una quantità di ricerche mai fatte prima. Ho attinto a tutti i libri scritti su Cheney, i documentari, gli articoli, e ho anche assunto un giornalista per fare delle interviste e aiutarmi a colmare le lacune». E alla fine è riuscito così a mettere insieme tutti i pezzi, anche grazie al meticoloso lavoro dello stesso Bale, che è servito addirittura a salvare la vita al regista. «Un giorno ho avuto un malore, le mani mi si sono contorte e avevo la nausea. All’inizio ho pensato che fosse lo stomaco, poi mi sono ricordato che Christian mi aveva raccontato che i sintomi dell’infarto, che lui aveva studiato in quanto Cheney ne ha avuti diversi, erano quelli. E così ho capito che il problema era il cuore. Ho preso immediatamente quattro aspirine e chiamato l’ambulanza, e così mi sono salvato. Quando gliel’ho raccontato abbiamo riso per ore». Nello scrivere il film Mckay si è ispirato al lavoro di Paolo Sorrentino. «Sono stato molto influenzato dal Divo, dal suo stile e dal modo in cui veniva disegnato questo uomo di potere dalle grandi abilità burocratiche». La performance di Toni Servillo ha impressionato il regista americano. «Mi piaceva il modo in cui recitava quasi senza muoversi. Il film l’ho rivisto più volte e l’ho fatto vedere a Bale. Mi sono ispirato anche ad altri film ma questo è quello che mi ha colpito di più».E come Sorrentino, McKay dipinge un uomo determinato e affascinato dal potere, cedendo ad una descrizione condizionata dalle accuse che i liberal gli hanno sempre rivolto: «È straordinario come Cheney sia riuscito a cambiare la sua vita tanto in fretta, è stato beccato due volte a guidare ubriaco e dopo dodici anni era capo dello staff nella Casa Bianca. In questi anni si è dimostrato un uomo molto leale, innanzitutto a sua moglie, da cui ha preso l’ambizione, ma anche a Donald Rumsfeld, che politicamente è stato il suo mentore, al presidente Bush e naturalmente alla Halliburton, la compagnia petrolifera per cui ha lavorato. In tutta la sua carriera non ha servito il suo Paese ma soltanto il potere». «Il Presidente era Bush ma non credo che fosse lui a guidare la nave: al timone c’era Cheney», sottolinea il regista ammettendo che «in tanti diranno che sposo il punto di vista di un liberal». Ma difendendosi così: «Ho raccontato solo fatti, e che tu sia un liberal o un repubblicano, i fatti sono fatti».
Alfonso Bianchi, lastampa.it