Perché il poker ha perso l’ennesima occasione per farsi conoscere al pubblico generalista e non ha valorizzato il suo prodotto di punta. La domanda che ci poniamo è una: è giusto accontentarsi di un field di 7mila anime oppure puntare ad avere tra 5/10 anni un Main Event con 20mila ingressi e magari la metà pagata dagli sponsor? E’ un obiettivo così irraggiungibile? O è la mentalità vecchia e l’approccio sbagliato? Perché la diretta del Main può avere un forte appeal sul grande pubblico, ma bisogna garantire una visibilità più ampia.
Il poker vuole rimanere un fenomeno di nicchia negli USA e residuale negli altri continenti? Oramai siamo rassegnati, nonostante i record di partecipazione, il potenziale rimane ancora pazzesco ma non è valorizzato nel resto del globo.
E’ un peccato perché i manager delle World Series (insieme ad ESPN) hanno creato uno spettacolo unico, un tavolo televisivo fantastico e bisogna fare a loro i complimenti più sinceri per la qualità delle immagini. La semina è stata ottima ma solo in un campo: gli States. Il grande pubblico americano ha potuto, di fatto, gustarsi lo show in diretta ma il resto del Mondo?
Prodotto super ma i confini sono sempre gli stessi
La nostra non è una critica ai manager che devono applicare dei piani industriali definiti e si trovano con le mani legate dalle direttive aziendali, ma gli azionisti di Caesars dovrebbe pensare in maniera differente rispetto a 15/20 anni fa. Serve un cambio di mentalità a 360 gradi nell’intera industria del poker e del gambling, ma bisogna partire proprio da Las Vegas, dove tutto è inziato.
Gli altri sport e show crescono in maniera verticale in televisione con audience importanti, il poker invece rimane fermo ad un decennio fa. E’ tutto molto semplice: paragoniamo i dati del 2007 con quelli di oggi. C’è motivo per esultare? Circa 700 giocatori in più nel Main. Bastano per giustificare 10 anni di lavoro? Nel frattempo le televisioni e gli sponsor quanto hanno investito nelle altre discipline?
Eppure il prodotto televisivo potrebbe essere accattivante e lo è stato per gli appassionati a stelle e strisce: si è lavorato bene nel mercato nazionale, ma manca una visione più ampia a nostro avviso, la stessa visione che hanno avuto Ecclestone, Havelange (e Blatter) mezzo secolo fa.
E’ da quasi 15 anni che seguiamo i campionati del Mondo ed il final table del Main Event dovrebbe essere lo spot ideale per promuovere il poker in tutti e 5 i continenti come lo è una finale del “mondiali” di calcio o i 100 metri alle Olimpiadi. Ed invece notiamo che è sempre rimasto all’interno di confini ben definiti.
Allargare il palcoscenico per vendere un prodotto difficile
Dovrebbe essere uno spettacolo main stream rivolto a tutti ed invece viene interpretato con la classica mentalità da sport americano. Sia ben chiaro: dai manager delle leghe pro statunitensi c’è solo da imparare (e tanto), così come dai marketing manager, ma in questo caso si sta commettendo un errore di fondo grave.
C’è una bella differenza proprio nella qualità del prodotto da vendere: non si sta dando visibilità ad uno sport emozionante come può essere una partita NFL, NBA etc ma un gioco di carte che non può, per forza di cose, avere lo stesso appeal e piacere a tutti. Ha un “tasso di conversione” molto limitato rispetto a qualsiasi altro sport. Per questo bisogna allargare il palcoscenico. Se si allarga il campo della semina, il field sarà più ampio.
Rompere gli schemi, pensare in grande e a un Main da 20.000 anime
Il dubbio è se siamo di fronte ad un reale “conflitto di interessi”. Non esistendo di fatto una federazione potente nel poker super partes, coloro che gestiscono i Mondiali alla fine pensano solo a privilegiare i propri mercati live? Il dubbio è legittimo, come d’altronde è legittima la loro pianificazione del business sul mercato. Essendo l’online europeo in mano ad altri competitor, alla fine è normale che il focus sia solo agli States.
Ma a nostro avviso è necessario puntare più in alto: non bisogna fare un’analisi tradizionale per i prossimi 3/5 anni (sia live che online etc) ma capire che è in gioco molto di più e soprattutto ragionare a lungo termine.
Per un campionato del mondo vogliamo nasconderci dietro a record che riguardano migliaia di persone o pensare a qualcosa di più?
E’ giusto accontentarsi di un field di 7mila anime oppure puntare ad avere tra 5/10 anni un Main Event con 20mila ingressi e magari la metà pagata dagli sponsor? E’ un obiettivo così irraggiungibile? O è la mentalità vecchia e l’approccio sbagliato?
Se la popolarità del poker conquista un pubblico più ampio, i grandi sponsor si avvicineranno ancor di più alle WSOP, seppur è già stato fatto un lavoro interessante negli ultimi anni e questo va riconosciuto ai manager che lavorano a Las Vegas.
Ma serve un cambio radicale di mentalità all’interno dell’intero settore, perché si tende a sottovalutare il prodotto e l’appeal del torneo più importante.
Montepremi e sponsor
L’obiettivo finale deve essere quello di farli compartecipare gli sponsor ai montepremi, come succede nel tennis ed in altri sport. Il punto d’arrivo deve essere quello di creare un’offerta accessibile al grande pubblico mondiale. E’ necessario svincolarsi dagli orari assurdi ai quali sono abituati i pokeristi, bisogna rompere i vecchi schemi o si rimarrà inchiodati al proprio orticello.
No alla differita
L’appeal del Main Event evapora in differita, perde di significato, inutile girarci intorno. Il telespettatore medio (non stiamo parlando dello zoccolo duro) rimane inchiodato al divano perché vuole conoscere chi sarà il fortunato che vincerà, in diretta, gli 8 milioni in palio. Le vere emozioni sono quelle trasmesse, in quel momento, dai players che stanno giocando con il cuore in mano.
Se non è live, il fascino evapora e si trasforma solo in un appuntamento per gli esperti, una sorta di classica hand review. Il grande pubblico è tagliato fuori da tutto questo, gran parte delle dinamiche non le capisce neppure.
Vi interesserebbe guardare un Gran Premio di F1 conoscendo già l’ordine d’arrivo?
La lezione di Bernie Ecclestone
Per radicarsi ed essere popolare, una disciplina di nicchia necessita di una visibilità mondiale. Lo ha capito Bernie Ecclestone con la Formula 1 nei primi anni ’80. Vendeva un prodotto con una popolarità ristretta: senza la sua visione la F1 sarebbe rimasta solo un club esclusivo per appassionati inglesi, italiani e qualche francese e tedesco. Ed invece ora quel brand è conosciuto in tutto il mondo.
La prima mossa di Bernie è stata quella di portale il suo prodotto in ogni angolo del globo (ed in questo caso le WSOP lo stanno facendo) ma di forzare gli orari per garantire le dirette il più possibile a più continenti.
Mettiamo per assurdo che Ecclestone avesse lavorato nel mondo del poker. Figuriamoci se il manager inglese si sarebbe mai azzardato a tagliare fuori l’unico mercato (l’Europa) in grado di garantire stabilità costante in un business che è, in molte giurisdizioni mondiali, vietato.
Alla fine, in questi giorni, si è pensato realmente alla crescita dell’intero settore? La necessità di una federazione è evidente. Prendiamo l’esempio del calcio.
Durante i Mondiali del 1994, la FIFA faceva giocare ad orari assurdi (a mezzogiorno con 40 gradi ed un tasso d’umidità pazzesco) ma Europa ed Asia non erano tagliate fuori dalle dirette più importanti. Stessa cosa è accaduta in Corea.
4 giocatori europei al final table
Nel poker invece abbiamo vissuto una situazione paradossale. Pochi giorni fa ci siamo trovati con 4 giocatori europei (quasi il 50% dei finalisti) visibili solo durante la notte nel Vecchio Continente.
Evidentemente non interessa la visibilità in Europa (eppure l’organizzazione di WSOPE va nella direzione opposta), nonostante sia l’unica regione dove il poker online è stato regolamentato seriamente.
Certo, ci sono i record ma il texas hold’em continuerà a rimanere un fenomeno di nicchia negli States mentre nel resto del mondo rimarrà qualcosa di ancora più residuale. In Cina non si arriverà mai ad una regolamentazione, andranno avanti i social games ma è utopistico pensare al gambling online legale.
L’influenza delle tv americane
Ogni anno abbiamo la stessa sensazione, alla fine l’industria del poker americana vuole continuare a cuocere nel suo brodo e pascolare solo negli USA perché così vogliono le televisioni e perché l’online non interessa ai magnati dei casinò.
In questo caso, sembra proprio che ESPN abbia ancora una volta dettato gli orari, oscurando, di fatto, l’Europa dalla diretta, quando sarebbe bastato posticiparlo di qualche ora per avere una visibilità discreta anche in Europa ed in Asia. E’ stato ignorato anche un possibile compromesso (tipo iniziare alle 22.30 a Las Vegas).
Il primo giorno il tavolo finale è stato chiuso a 7 players left (invece di 6) alle 8 del mattino a Roma (le 7 a Londra) sbattendo in faccia la porta agli europei (in particolare inglesi e francesi) che si erano appena svegliati. Ancor peggio il sabato (il live è partito alle 2.30 del mattino).
E questo format (dividendo il tavolo in tre tranche) oltre ad essere tecnicamente poco attrattivo, leva ogni speranza di poter seguire l’action in modo quasi del tutto integrale a noi europei. Agli americani non interessa proprio. La mazzata del “Black Friday” (che di fatto ha oscurato l’online negli USA, salvo tre staterelli) non ha insegnato nulla.
Le poker rooms cosa pensano?
Come detto, quest’anno il problema si è evidenziato con 2 transalpini e 2 inglesi al final table: nonostante ciò, UK e Francia sono state tagliate fuori.
Ci dispiace perché abbiamo ricevuto molte segnalazioni dai nostri lettori negative. E cosa penseranno sponsor come 888Poker che sono ben presenti in Gran Bretagna e presto dovranno aggredire il mercato unico composto da Francia, Italia, Spagna e Portogallo? Si accontentano di spendere milioni solo per avere visibilità solo in Nevada e New Jersey?
Gli USA non bastano
C’è molto da imparare dalle altre organizzazioni sportive che hanno reso le proprie competizioni popolari ma soprattutto vere macchine da soldi.
Una nazione da 200 milioni di residenti che non possono giocare online, non è sufficiente per l’industria e il mercato del poker. Chi lo gestisce dovrebbe guardare oltre il proprio orticello.
Non è un caso che dal 2011 il cash game è entrato in una crisi costante e questo aspetto nel lungo periodo non favorirà neanche il gioco live. Bisogna andare oltre, rompere gli schemi e ragionare in maniera differente rispetto a 15 anni fa.
Persa occasione…
Un peccato non aver valorizzato tutto quello show a 360 gradi, considerando l’allestimento del final table e la qualità delle immagini che sono arrivate da Las Vegas (complimenti alla regia e agli organizzatori).
Con uno schedule (non rivoluzionato) ma leggermente differente il super evento sarebbe stato seguito in quattro continenti ad orari umani per tutti. Si è persa un’occasione per puntare realmente in alto, sfruttando l’inusuale e numerosa presenza di giocatori extra USA. Peccato.
Luciano ‘Luckyflush’ Del Frate, Assopoker