(di Tiziano Rapanà) Il problema è uno: la propensione alla narrativa. Dramma gigantesco che vale quanto un cornetto surgelato al bar. E i cornetti dovrebbero essere tutti artigianali, con le forme irregolari, Un cornetto storto, a forma di ciliegia irregolare, di banana, ti fa ripensare alla vita vera fatta di inugualità. Il consueto va calpestato dagli stivali con le borchie. Ma le serie tv imperano e la sostanza delle cose si è ridotta a intrattenimento. Le serie che vedete rappresentano una perfetta cartina di tornasole dello stato di salute del conformismo internazionale: è sano, i valori sono nella norma, non si ravvisano problemi di pressione alta (tutto gira bene sui canonici 120/80). Si dovrebbe dare voce alla sensibilità imbracciando il flauto della fantasia. Sennò è banalità da stories audiovisive sui social. E questo vale anche per i libri, tutti orgogliosamente irriggimentati sulle trame. Fulvio Abbate non ne vuole sapere di regolarsi e disciplinarsi secondo norma. Menomale, almeno lui libera il lettore dall’incubo dell’intreccio. È appena uscito il suo romanzo, Lo Stemma (La nave di Teseo). Libro monumentale che vuole spazzare via, a colpi di katana, il mostro della mediocrità. Un breve accenno alla storia, che è piccola cosa rispetto al monumento architettonico costruito sulla parola. Costanza Redondo di Cosseria è la signora del racconto. Lei è l’immagine della nobiltà decadente che vivacchia nelle sue piccinerie quotidiane. Un giorno, l’osceno bussa alla sua porta: è un fantasma che si materializza con inspiegabili messaggi dai contenuti irriferibili, che spuntano sui muri di Palermo. La moralità, sui comportamenti nel battagliare da letto, della signora sembra compromessa. Costanza vuole capirci di più e scoprire il mandante della sozzura. Non sarà sola. Mentre io temo di essere il solo a chiedere un adattamento televisivo del romanzo di Abbate. Le emittenti dovrebbero fare a pugni per accaparrarsi i diritti del libro. Serie tv di e con Fulvio Abbate, perché serve un occhio mondato dagli automatismi del riprendere la scena. Glauber Rocha non è più tra noi, da lustri, e bisogna arrangiarsi alla bell’e meglio. Altrimenti rassegniamoci all’estetica da piattaforma, che mi ricorda tanto certi brutti mobili in serie che furoreggiano nelle case.