Banderas racconta il “suo” Picasso

Banderas racconta il “suo” Picasso

‘Genius: Picasso’, miniserie per la tv dedicata al grande pittore, arriva dal 10 maggio con la seconda serie, diretta da Ron Howard, ogni giovedì alle 20.55 su National Geographic (Sky, 403). Prodotta da Ron Howard, ha per Antonio Banderas nei panni di Pablo Picasso

Nessuno meglio del malagueno Antonio Banderas avrebbe potuto dar volto a Pablo Picasso nella serie del National Geographic Genius: Picasso. “I quadri di Picasso, che io adoro, recano inquietudine a molti”, dice l’attore, che abbiamo incontrato a Los Angeles a ridosso del lancio della miniserie e poco prima di iniziare, in Italia, le riprese del film su Lamborghini per Ambi Pictures (Banderas vive nel villaggio di Cobham, in Inghilterra, con la fidanzata Nicole Kimpel). “Nei musei di Barcellona vedi amanti dell’arte che non sanno come affrontare i dipinti di Picasso, quando ad esempio raffigura donne che succhiano un enorme pene. E parlo del giorno d’oggi. Immaginiamoci 60, 80 anni fa. Picasso è l’epitome dell’artista che si assume la responsabilità di trasgredire qualsiasi regola preesistente”.

Classe 1960, 58 anni ad agosto, ex marito di Melanie Griffith (si sono separati due anni fa) ed ex attore simbolo per Pedro Almodovar, Banderas indossa con ammirevole aplomb una parrucca bianca con ciuffo nel ruolo del Picasso 50enne, poi sfoggia la testa pelata per l’ultimo periodo della vita del celebre pittore. La miniserie ricostruisce in maniera didascalica e vignettistica – ma non meno interessante – la  formazione del giovane Picasso, genio della pittura, incompreso, costretto dalle convenzioni e dalla tradizione, trasgressore delle regole, il periodo blu, il periodo di Parigi, la ribellione contro il franchismo, il nazismo, il fascismo, il debole per le donne, il genio: tutto in dieci ore di miniserie.

Antonio, molti attori prima di lei hanno recitato Picasso al cinema, non ultimo Anthony Hopkins. Le era mai stata offerta la parte?
“Molte volte! Le spiego: molti dicono che questo è un personaggio che io ho sempre voluto recitare, ma la verità è esattamente l’opposto. Sono sempre fuggito da Picasso, per tanti anni. Mi è stato offerto in diversi periodi della mia vita, quando avevo 20 anni e poi ancora a 30 e 40, e l’ho sempre rifiutato. È stato solo quando Carlos Saura, il regista spagnolo, mi ha chiamato per fare un film chiamato 33 giorni, che è il periodo che ci è voluto per dipingere Guernica, che ho cominciato a considerare la cosa. Ma poi il film è finito in una serie di casini finanziari, un processo di bancarotta, problemi con un vecchio copione che non mi piaceva… e proprio in quei giorni mi ha chiamato Ron Howard per parlarmi di uno show televisivo, 10 episodi, per il National Geographic. Per coincidenza solo due settimane prima avevo finito di guardare la prima stagione di Genius su Einstein e mi era piaciuta tantissimo, quindi è stato impossibile per me rifiutare questa volta. In più avevo la garanzia del National Geographic e non ho più avuto scuse di saltare nella pelle di Don Pablo Ruiz Picasso!”.

Che importanza aveva per lei Picasso?  
“Sono nato a due isolati da dove è nato Picasso e quando mia mamma mi portava a scuola vedevamo sempre la scritta che diceva che era nato in quella casa. All’epoca vivevamo sotto una dittatura fascista e non avevamo molti eroi, quindi è diventato una grande figura per me dai primi anni della mia vita”.

Come è entrato nel personaggio?
“Devo confessare che non è stato facilissimo, anche perché ognuno ha una diversa percezione di lui. Picasso parlava molto poco. Ci sono pochissime interviste con lui in televisione, ce ne è una sulla tv belga che avrò visto 150 volte, e alcune interviste radiofoniche, ma era un tipo molto misterioso. Gli piaceva rimanere in disparte. Non era come Dalì, per esempio, che era sempre di fronte alla stampa e amava il tipo di persona che aveva creato. Picasso era una personalità più misteriosa, che non cercava di giustificare nessuna delle cose che si dicevano sempre di lui”.

Ad esempio?
“Per esempio era già molto famoso quando non ha firmato una lettera per la liberazione di Max Jacob, il poeta, che era stato messo in un campo di concentramento dai nazisti. La spiegazione che aveva dato a Jean Cocteau in quel caso particolare era stata che non poteva firmare una lettera perché i nazisti lo odiavano, quindi una sua lettera si sarebbe ritorta contro lo stesso Max Jacob. Quindi le opinioni su Picasso dipendono sempre dai particolari eventi”.

Quale è il suo rapporto con l’arte di Picasso?
“Contrariamente ad altri pittori come Matisse, che aveva uno stile molto specifico, Picasso dipingeva come Velasquez quando aveva 16 anni: come ti evolvi da lì? Era l’inizio della fotografia che gli aveva creato una grande depressione, perché Picasso pensava che avrebbe significato la fine per i pittori. E poi immediatamente ha capito che quello che doveva dipingere era l’inconscio, i sogni, quello che non vedi, le altre dimensioni della vita. E poi arriva il cubismo e lui pratica il cubismo per un po’ di anni, poi appare Marie-Therese e lui torna al neo classicismo, in cui ogni donna al mondo sembra essere incinta. Sono grasse, hanno dita e piedi grandissimi e corrono sulla spiaggia e tutto è puro… e poi arriva il periodo blu. E nessuno voleva comprare quei dipinti perché dicevano che erano molto tristi. Dipingi cose più felici, gli dicevano, e dopo due anni è arrivato il periodo rosa, e poi l’arrivo a Parigi e il periodo di Picasso di Toulouse-Lautrec, quelle donne con il rossetto forte e uno stile così riconoscibile. In altre parole, in tutti quei diversi stili Picasso cambia sempre, cambia con le donne, cambia come artista. È curioso. Non si ferma mai, è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Nel decimo episodio c’è un momento, quando c’è Paloma, in cui comincia a dipingere in modo semplice, come i suoi figli, una testa, due occhi, un braccio, e io tiro fuori la tavolozza e il pennello e il mio Picasso comincia a ridere, perché sa che sta per morire e dipinge come un ragazzino, non più come Velasquez. Non gli interessa più, si sente come fosse tornato bambino a Malaga, a una vita cui non può più tornare”.

Da attore lei riconosce una parte di genio in lei?  
“Non credo che tutti abbiano del genio dentro di sé. Penso che se puoi capire la vita come arte e sei curioso e immaginativo, puoi fare o essere qualsiasi cosa nella vita. Puoi essere molto creativo, ma il genio è un’altra cosa. Cosa è la definizione di genio? Non lo so, ma io penso che sia qualcuno che spezza le regole di quello che è conosciuto per darci qualcosa di meglio che possa toccare un gran numero di persone. Facendo Picasso ho sperimentato il fatto che il genio può anche produrre molto danno collaterale. I geni non sono persone perfette. Sono esseri umani come noi e fanno un sacco di sbagli. E vedi dal ritratto che abbiamo fatto di Picasso in 10 episodi che c’è sì un artista incredibile e ‘geniale’, ma anche tanto egoismo, arroganza, molte più cose negative di quante possiamo pensare, e abbiamo cercato di affrontare tutti questi elementi per creare un personaggio complesso che ci faccia riflettere su cosa sia un genio. Si parla di pittura, ovviamente, e di arte, ma anche di rapporti e di come si è comportato nella politica, sul fronte sociale, con le donne, con i suoi amici, per cercare di capire chi era quel genio di Picasso”.

Silvia Bizio, Repubblica.it

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