Aveva 86 anni. Il sassofonista camerunense è stato una delle prime star musicali africane del mondo influenzando generazioni intere di musicisti africani e internazionali
Il coronavirus si è portato via uno dei grandi padri della musica africana moderna, il sassofonista e compositore camerunese Manu Dibango. Lo hanno annunciato questa mattina i suoi familiari: “Cari parenti, cari amici, cari fan, una voce si alza da lontano, è con profonda tristezza che vi annunciamo la scomparsa di Manu Dibango, il nostro Papy Groove, avvenuta il 24 marzo all’età di 86 anni, a causa del covid19“. Il celeberrimo musicista africano era stato ricoverato la scorsa settimana in un ospedale parigino dopo essere stato trovato positivo al test per il coronavirus.
Emmanuel N’Djoké Dibango era nato il a Douala, in Camerun, il 12 dicembre del 1933, e aveva manifestato fin da giovanissimo un grande interesse per la musica. Quindicenne viene spedito a studiare in Francia e lì inizia a suonare con molti altri artisti africani e francesi, venendo in contatto con il jazz e più in generale con i ritmi e le armonie della musica occidentale. Ma è la musica del suo continente ad affascinarlo di più, la studia, la suona, cercando di metterla in sintonia con tutto quello che ascolta in Europa. Negli anni Sessanta, nel pieno del movimento africano per l’indipendenza, entra a far parte degli African Jazz, e inizia a sviluppare un proprio stile, nel quale si mescolano jazz, soul, musica del Congo e dello Zaire, collabora con moltissimi musicisti e incide innumerevoli album.
È a Kinshasa, la capitale del Congo, che le sue idee germogliano dando vita nel 1972 a un brano, Soul Makossa, che entra nella storia della musica, non solo per l’originalità della formula, dance, soul, funk e afro, ma anche per essere il primo brano in lingua francese ad arrivare ai vertici delle classifiche americane. Dibango diventa una delle prime star musicali africane del mondo, stabilisce collegamenti con musicisti di estrazioni e culture diverse, costruisce ponti ideali tra continenti e linguaggi, collabora con tantissimi artisti e band di tutto il mondo, Fania All Stars, Fela Kuti, Herbie Hancock, Eliades Ochoa, Bill Laswell, Bernie Worrell, Ladysmith Black Mambazo, King Sunny Adé, Don Cherry, Sly and Robbie, anche con i nostri Enzo Avitabile e Jovanotti.
È stato un’innovatore, ha capito meglio di altri come la musica del Terzo Mondo potesse essere esportata al di fuori dei confini del continente, ben prima dell’esplosione della world music, ha saputo mescolare la sua cultura a quella di tantissimi altri senza mai perdere il legame, fondamentale e strettissimo, con le sue radici, e ha rinnovato costantemente il suo universo sonoro, senza rimanere mai legato a nessun cliché. E anche oltre gli ottant’anni, festeggiati con un grande concerto all’Olympia di Parigi, ha continuato a suonare: nei mesi scorsi era in tour per celebrare la sua storia con gli African Soul Safari e Safari Symphonique.
Nei sessant’anni della sua travolgente carriera Dibango ha ottenuto un incredibile numero di successi, ha conquistato diverse nomination al Grammy, è diventato Ambasciatore dell’Unesco e Cavaliere delle Arti in Francia, ha influenzato generazioni intere di musicisti africani e internazionali e ha scritto una bellissima biografia, Tre chili di caffè – vita del padre dell’afro music, pubblicata in Italia da Edt. I funerali saranno svolti nella più stretta intimità familiare, a causa delle restrizioni dovuti all’epidemia di coronavirus.
Repubblica.it