Apparat: “Torno ai brani astratti per cancellare il mio profilo da popstar”

Apparat: “Torno ai brani astratti per cancellare il mio profilo da popstar”

Messo in pausa il progetto Moderat, il musicista tedesco pubblica ‘Lp5’, il suo quinto album solista. Candidato ai David di Donatello per la colonna sonora di ‘Capri Revolution’ di Mario Martone, Sascha Ring sarà in Italia ad aprile per tre concerti con la sua nuova band

Messo in pausa il progetto elettronico dei Moderat, il trio che ha fondato con Gernot Bronsert e Sebastian Szary dei Modeselektor, e reduce dalla colonna sonora candidata ai David di Donatello di Capri Revolution, il film di Mario Martone per il quale ha anche suonato insieme a un’orchestra di attori accompagnando le riprese sul set, torna Apparat, ovvero il tedesco Sascha Ring che il 22 marzo pubblica l’album Lp5 per l’etichetta Mute. Verrà a presentarlo in tre concerti in Italia, il 5 aprile al teatro Acacia di Napoli, il 6 all’Estragon di Bologna e il 7 all’Alcatraz di Milano: “Sarò con la band, sul palco saremo in cinque, smonteremo i brani e li riporteremo all’essenziale, e poi ripartiremo dal nucleo per allargarne gli orizzonti”.Un disco di sfumature ora acustiche ora elettroniche, con una tavolozza sonora talmente ampia da riecheggiare il jazz e le nuove frontiere dell’elettronica, il drum and bass e il pop, Caribou e Kendrick Lamar. Si intitola Lp5 perché è il suo quinto album di studio, ma non ha un vero titolo perché il suo autore non ha voluto che lo avesse.

Perché?
“Perché poteva essere fuorviante. Un album è sempre un insieme di pensieri e di testi che significano qualcosa ma talvolta, come in questo caso, non si offrono come un discorso coerente e un titolo in un caso come questo invece che aiutare può essere un fattore di disturbo per gli ascoltatori. E anche se nell’album ci sono molti testi, stavolta ho voluto offrire essenzialmente la mia musica, senza un titolo a cui pensare”.

È ancora importante pensare e proporre la propria musica in termini di album?
“In questo sono veramente old school, sono un fan dell’album inteso come una raccolta coerente di canzoni, specialmente quando si parla di album come i miei, che non sono un insieme di singoli o di hit, ma dove al contrario c’è un filo da seguire per l’ascolto, con i suoi alti e bassi, e le canzoni prendono significato proprio nel contesto in cui le ascolti mentre se le estrapoli magari continuano ad essere buone canzoni ma non forti come lo erano nell’album. Lo stesso motivo per il quale non mi piace proporre singoli: per annunciare questo album abbiamo pubblicato un solo singolo. E non ne pubblicheremo altri”.

Ci sono titoli come “Caronte” e “Brandeburg”, c’è forse una linea narrativa che li tiene insieme?
“Questo album è stato scritto e registrato in tre anni, un periodo di tempo molto lungo in cui succedono tante cose. Ovviamente ho seguito alcune mie idee guida, anche se non sono molto bravo a parlarne, ma ogni volta che mi metto a scrivere e a comporre musica perdo qualcosa per strada, la musica mi porta in altre direzioni: è un momento che mi piace molto e che considero molto creativo, dunque non lo contrasto ma certamente si tratta di una modalità compositiva nella quale l’idea iniziale si disperde in altri rivoli. Da qui deriva anche la varietà dell’album, ogni canzone suona diversa e non solo musicalmente. Sono tutte il prodotto di sovrapposizioni, di cambiamenti del testo, ho lavorato come fossi di fronte a un collage colorato di piccoli pezzi”.

Le canzoni sul piano musicale cambiano molto, alcune partono acustiche e finiscono in un vortice di elettronica: è la caratteristica di questo album?
“Sono contento che lei lo abbia notato perché è esattamente quello che abbiamo cercato di realizzare con questo album, canzoni con un’assoluta e imprevedibile libertà creativa. Dopo quattro anni nel progetto Moderat che prevedeva canzoni molto simili e con una struttura tutto sommato semplice, ero un po’ stanco, avevo bisogno di creare e suonare musica più complessa. Devo anche dire che per carattere non mi si addice molto la figura della popstar, mi sento sempre un po’ a disagio su un grande palco, dunque lascio ai Moderat il ruolo di compiacere questa parte di me e mi prendo la libertà di tornare un po’ astratto grazie ad Apparat”.

Un ritorno agli esordi?
“Beh, certamente oggi essere astratto ha un significato molto diverso rispetto a quando iniziai venti anni fa, ai tempi dei rave e della techno, quando astratto significava ricercare strani suoni elettronici, oggi sarebbe noioso, cerco nuove strade per l’astrattezza. Arrangiamenti più complessi, suoni diversi assemblati in un collage sonoro. Punto su qualcosa che suoni molto più costruito, piuttosto che scritto”.

Come si è legato il lavoro dell’album a quello per la colonna sonora di Capri Revolution di Mario Martone?
“Ho contemporaneamente lavorato anche alle musiche del film di mia moglie. Importante è stato avere sempre al mio fianco il violoncellista Philipp Thimm che insieme a me produce la musica che facciamo. Lavorare al film di Martone è stata una piccola grande vacanza rispetto all’album, ci ha invitato ad andare in Cilento e per un mese abbiamo affittato un casolare di campagna circonadato da una piantagione di ulivi ed è lì che è nata questa musica, certamente influenzata dall’atmosfera hippy del film… Molto libera anche nel modo di suonarla: abbiamo coinvolto gli attori e insieme abbiamo suonato sul set nonostante non ci fossero musicisti professionisti, un’esperienza veramente notevole, accordando gli strumenti in modo che suonarli fosse semplice per tutti. Una chiave minimalistica, l’opposto di quanto consentono i computer. Tornati a Berlino dopo il film abbiamo continuato ad adottare questa chiave minimalistica, si è trattato di togliere e sottrarre visto che avevamo registrato anche con un’orchestra e con tanti musicisti in cinque studi diversi. Ridurre di nuovo tutto a una dimensione più intima”.

Nel paesaggio sonoro del suo nuovo album ci sono le nuove frontiere dell’elettronica ma anche il pop e l’hip hop di successo, troviamo uno stile vicino a quello di Caribou ma anche quello di Kendrick Lamar.
“Un album per me è sempre il risultato del maggior numero di influenze possibili, ascolto molto. Essendo entrato nell’elettronica da giovane, col tempo ho scoperto tanta musica diversa da quella che ascoltavo. La varietà continua ad affascinarmi, prendo idee da ogni parte e le rileggo a modo mio: ci sono gli anni Ottanta, il jazz, ma anche Frank Ocean, per dire”.

Come saranno i suoi live in Italia? Sarà accompagnato da una band?
“Assolutamente sì, questo è un album da band, sebbene sia stato costruito pezzo per pezzo al computer è basato su tanta musica che abbiamo creato insieme ad altri musicisti. Quindi dev’essere riprodotta da musicisti, non da macchine. Certo non sarà un’operazione semplice, perché come le ho detto nel computer ci sono migliaia di possibilità e di suoni ma quando arrivi sul palco e come nel nostro caso ti ritrovi in cinque a suonare, sei costretto a destrutturare di nuovo la musica, a ridurre ogni brano all’essenziale per ripartire da lì. All’inizio ero preoccupato ma poi mi sono convinto, funziona molto bene. Essendo figlio della techno non sono un bravo musicista ma in questo tour mi lascio andare ancora più liberamente alla chitarra, ci sono molte improvvisazioni”.

Al di là della tecnica cos’è dunque davvero importante per un musicista?
“Tutti possono essere musicisti. Certo, un non professionista non potrà mai scrivere un’Opera ma per fare musica non è necessario conoscere la teoria musicale o essere un virtuoso, hai solo bisogno di avere una visione per sapere esattamente cosa vuoi realizzare e poi pensare a come arrivare al risultato che ti sei prefisso nel modo più semplice e disponibile per te. Costruire per piccoli pezzi, è questo che io intendo per minimalismo”.

Carlo Moretti, repubblica.it

Torna in alto