‘SMETTO QUANDO VOGLIO – MASTERCLASS’: LA BANDA DEI RICERCATORI TORNA IN AZIONE

‘SMETTO QUANDO VOGLIO – MASTERCLASS’: LA BANDA DEI RICERCATORI TORNA IN AZIONE

Il 2 febbraio al cinema il secondo film della trilogia diretta da Sydney Sibilia. I criminali da strapazzo di nuovo in campo (e alle prese con le smart drugs) ma questa volta al servizio della giustizia. Luigi Lo Cascio, Greta Scarano, Giampaolo Morelli fra le new entry. Commedia action con omaggi alle saghe americane

Smetto quando voglio - MasterclassNON CHIAMATELO sequel. È vero che quel che accade prende le mosse da dove eravamo rimasti ma Smetto quando voglio – Masterclass, precisa il regista, è un film a sé così come lo sono Smetto quando voglio (2014) e a Ad honorem (uscita prevista 2018), ultimo capitolo della trilogia diretta da Sydney Sibilia, trentacinquenne protagonista di un debutto-boom col primo Smetto, le disavventure di un gruppo di ricercatori universitari senza un futuro certo che per campare usano le loro competenze per produrre una droga sintetica legale. Non finisce benissimo e oggi li ritroviamo in Smetto quando voglio – Masterclass (in sala il 2 febbraio con 01 Distribution), fra galera e rehab, richiamati all’opera ma per collaborare con la giustizia: un’ambiziosa ispettrice di polizia chiede loro di ricomporre la banda per aiutarla a catalogare le smart drug in circolazione e debellarne il traffico.
È la banda criminale più colta e sghangherata di sempre, ci sono il neurobiologo (Edoardo Leo) e il chimico (Stefano Fresi), gli esperti di semiotica interpretativa e epigrafia latina (Lorenzo Lavia e Valerio Aprea) e l’archeologo (Paolo Calabresi), il massimo conoscitore italiano di macroeconomia dinamica (Libero De Rienzo) e l’antropologo (Pietro Sermonti), affiancati da un avvocato specializzato in diritto canonico (Rosario Lisma). Non basta. La task force antidroga ha bisogno di energie nuove e va a cercarle tra i cervelli italiani fuggiti all’estero. Finiti non benissimo: un anatomista che si guadagna da vivere con incontri clandestini di thai boxe in un mercato delle spezie di Bangkok e un laureato in ingegneria meccatronica (Giampaolo Morelli) che, lasciata l’Italia a causa dei tagli e della disperazione, si è trasferito a Lagos, in Nigeria, e smercia armi low cost e mal funzionanti ai signori della guerra locali. Poi ci sono l’ispettrice di polizia (Greta Scarano) che incautamente cede alla tentazione di ingaggiarli per l’impresa, la moglie del neurobiologo (Valeria Solarino) in procinto di partorire e un cattivo che non t’aspetti: Luigi Lo Cascio, villain d’eccezione.
“Dopo il successo del primo film mi chiedevano di fare ‘il due’, in Italia è una cosa strana – racconta Sibilia – sembra un’operazione commerciale, tipo prendi i soldi e scappa, da cui un autore dovrebbe tenersi alla larga sennò dicono che ti sei venduto al sistema, soprattutto se il primo film ha un’anima indie com’era Smetto quando voglio. Ma la mia generazione è cresciuta con i sequel e le saghe, il che non significa avere meno idee ma solo che alcuni meccanismi narrativi, in un universo conosciuto, funzionano in modo diverso che non in un universo da creare da zero”.
I segnali della passione del regista per un certo cinema – con una particolare predilezione per gli anni Ottanta – sono disseminati lungo tutto il film, nel quale s’incrociano echi da Indiana Jones, Terminator, Ghostbusters, Ritorno al futuro. Il risultato è una contaminazione a tratti esilarante, fra I soliti ignoti e un film di supereroi Marvel, in un contesto insolitamente “action”: inseguimenti furiosi nei luoghi della Roma antica, macchine che si cappottano in corsa, assalto al treno con scazzottata stile The Lone Ranger, missioni a bordo di sidecar originali della Germania nazista. “La cosa più difficile – continua Sibilia – è stata proprio fondere una comicità tutta italiana con un’importazione para-americana: la comicità americana ha la battuta superbreve, stile Bruce Willis dopo un’esplosione; noi invece veniamo da una comicità più verbosa. Far coesistere le due cose è stata un’impresa”.

Alessandra Vitali, La Repubblica

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