Da “My Adidas” dei Run DMC a Kanye West, l’hip hop ha sempre fieramente flirtato con i marchi. Ma nel video “Piccole cose” le forzature sono troppe
Lo scorso venerdì è uscito il disco “Comunisti col Rolex” di Fedez e J-Ax e, in contemporanea, è stato lanciato anche il video del nuovo singolo “Piccole cose” con il featuring di Alessandra Amoroso.
Questo video, peraltro con alcune buone idee di regia, contiene una serie di “product placement” che definire forzati sarebbe pleonastico: i marchi Nescafé, Moschino e il corriere GLS sembrano buttati lì a caso.
Questo video ci dà l’occasione di fare una rapida retrospettiva sul rapporto tra i brand e il mondo dell’hip-hop. Sembra sia trascorso un secolo da quando i teneri Run DMC pubblicarono “My Adidas” solo per soddisfare il desiderio di farsi produrre le sneaker personalizzate. Da allora (era il 1986) i rapporti tra il mondo hiphop e quello dei brand sono diventati consuetudine. E degenerati in fretta.
Le liriche delle canzoni e gli annessi videoclip da allora iniziarono a riempirsi di product placement e marchi di ogni tipo. Il rap si trasformò rapidamente dalla “CNN del ghetto” (copyright Chuck D) a una sorta di Superbowl, inteso come ricco contenitore pubblicitario per rapper arricchiti troppo in fretta.
Moet et Chandon, Jaguar, Hennessy, Bmw erano i marchi più citati; addirittura alcuni rapper, come Gucci Mane, inserivano direttamente il brand nel nome. Non sempre però questo portava buona pubblicità, anzi. I produttori dello champagne Cristal, ad esempio, temevano che la sovraesposizione del prodotto da parte dei rapper cafoni non giovasse all’immagine del marchio extralusso e sofisticato.
di Michele Boroni, Wired