Un racconto di ingiustizia e forza interiore
Ospite nello studio di “Verissimo”, l’ex calciatore Michele Padovano ha raccontato la sua drammatica storia, fatta di ingiustizie e sofferenze, ma anche di resilienza. “Mi è stata negata la libertà per 17 anni”, ha detto Padovano, che ha vissuto un incubo iniziato il 10 maggio 2006, quando è stato arrestato con l’accusa di spaccio internazionale di stupefacenti, un’accusa rivelatasi infondata.
La notte dell’arresto
Quella sera, Padovano era a cena con amici, ignaro di ciò che lo aspettava:
“Pensavo fosse uno scherzo, ma ho capito che era reale quando mi hanno portato in caserma. Mi hanno accusato di essere il capo promotore di un’associazione a delinquere per aver prestato 36.000 euro a un caro amico”, ha spiegato. L’amico in questione aveva usato i soldi per acquistare cavalli, ma la giustizia non credette subito a Padovano.
La prigionia
L’ex calciatore ha descritto il dramma vissuto nei primi giorni di detenzione:
- “Tre auto dei carabinieri mi hanno bloccato in un incrocio. Sono stato 10 giorni in isolamento a Cuneo, senza poter fare nemmeno una doccia”.
- Successivamente, è stato trasferito al carcere di Bergamo.
Nonostante tutto, Padovano ha trovato forza nella sua famiglia e nella possibilità di condividere la sua testimonianza: “La mia vera ricchezza è mia moglie Adriana e mio figlio Denis, che non hanno mai dubitato di me”.
“Tra la Champions e la libertà”
Nel suo libro, “Tra la Champions e la libertà”, Padovano racconta come la sua esperienza possa ispirare chi affronta difficoltà simili: “La mia storia può dare forza a chi vive un momento difficile, e ne sono orgoglioso”.
Il ricordo di Gianluca Valli
Con emozione, Padovano ha parlato del suo amico Gianluca Valli, definendolo “il mio angelo custode”. Valli, che non ha mai smesso di sostenerlo durante la prigionia, è stato tra i primi a visitarlo una volta ai domiciliari. “Mi manca molto, ma so che le persone come lui non muoiono mai. Ha lasciato un segno importante nella mia vita”.
Una lezione di vita
Padovano conclude con un messaggio di speranza: “Oggi posso raccontare la mia storia, ma ci sono persone che non possono farlo, perché muoiono in carcere da innocenti”.