Si è guadagnato il titolo di “regista delle coppie” dopo quel gioiellino di Perfetti sconosciuti, successo in tutto il mondo da cui sono già state declinate varie versioni internazionali. Paolo Genovese ora è pronto ad una nuova sfida, Supereroi, tratto dall’omonimo romanzo edito da Einaudi e in arrivo in sala il 23 dicembre dopo la presentazione alle Giornate di cinema di Sorrento e l’anticipazione del brano originale “Supereroi” di Ultimo, che fa parte della colonna sonora.
La trama
Anna, una fumettista, e Marco, prof di fisica (Jasmine Trinca e Alessandro Borghi), stanno insieme da vent’anni. Sono molto diversi tra loro e anche il rapporto, con il tempo, si è evoluto ed è cambiato. La sfida della quotidianità mette spesso entrambi davanti ad un bivio per rinnovare, nonostante tutto, le promesse di quel “per sempre” che sembra tanto una favola e invece li trasformano in supereroi, come recita il titolo. È come se si trattasse di due film in uno, per un esperimento ad alto tasso emotivo.
La parola al regista Paolo Genovese
Da dove nasce l’ispirazione del film?
Dal desiderio di raccontare la coppia in modo curioso. La mia dura da più di vent’anni e spesso mi sono ritrovato a riflettere su quali siano i motivi per cui si resta insieme. Quelle che mi circondano le vedo cambiare, durare o scoppiare, e mi chiedo cosa lo determini. Alla base di tutte le esperienze c’è lo scorrere del tempo. C’è un aspetto positivo, perché si creano complicità e intimità, ma arrivano anche noia e abitudine.
Come si arriva a diventare supereroi?
Il titolo è provocatorio perché è difficile resistere in coppia, dal momento che non c’è più l’esigenza sociale ed economica che si viveva all’epoca dei miei genitori. Basti pensare che prima del ’74 non esisteva neppure il divorzio e il numero delle donne lavoratrici era di molto inferiore. Oggi, invece, la scelta precisa di stare insieme diventa quindi più difficile.
Perché dice che questo film sembra contenerne due?
Perché è così. Le due parti della storia sono anche state girare in tempi diversi e nella costruzione del racconto si parla del primo anno e poi il decimo, per poi continuare parallelamente.
Nella sua esperienza cos’è cambiato?
Sono molte cose a cambiare. Ad esempio ricordo che a 25-30 anni c’era l’esigenza di andare in vacanza da soli, in coppia, per vivere nella propria bolla, ma dopo un po’ preferisci i viaggi di gruppo. Se però mi fossi semplicemente ispirato alla mia esperienza sarebbe stato noioso, come quando si guarda il filmino delle ferie degli altri. Il cinema, a mio avviso, invece, dev’essere universale.
È questo il motivo per cui Perfetti conosciuti è stato amato a tutte le latitudini?
Esatto, se avessi raccontato solo i miei SMS sai che noia!
Quanto è importante per lei il look del film?
L’estetica per me resta cruciale e infatti poi diventa sostanza. Nessuna scelta è casuale. La Milano da bere è cambiata maggiormente rispetto ad altre città: quando comincia il film è quell’epoca in cui è più calda, dai colori vivi del centro. Nella seconda parte vediamo la capitale odierna, più funzionale e fredda, quella del Bosco verticale.
In che misura i costumi influenzano il racconto dei personaggi?
L’abbigliamento deriva dai personaggi e in questo caso sono anticonformisti e forti. Entrambi vestono in modo personale e mai compiacente verso l’altro. È l’incontro di due anime diverse, contro le apparenze. Marco non si cura del modo buffo con cui si veste lei, più hippie, con i capelli colorati, i vestiti curiosi. E viceversa: lei non si è fatta condizionare dalla giacca austera dell’assistente universitario. Anna e Marco vanno oltre le apparenze, s’innamorano per le stranezze dell’anima, non per le divise. E così vediamo che i costumi non cambiano in base al contesto.
Questa commedia romantica esce a Natale, non a San Valentino. Come mai?
Si rischia sempre che le commedie finiscano sempre lì, invece questa è una storia assoluta, non solo per un certo tipo di coppia, abbraccia due generazioni, dal cinquantenne di oggi che ricorda il passato con malinconia mentre i trentenni vedono sullo schermo quello che vivono. Secondo me Supereroi non è una commedia sentimentale.
Non lo era neppure The Place…
Quello era un racconto simbolico, questo è realistico ma con parti magiche e ci si chiede: puoi innamorarti della vita se tocchi il fondo? Io sono un fan della vita, perché sono convinto che da tutto si può riemergere. Sì, le strade a volte sono tortuose ma serve l’aiuto di qualcuno.
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