«Mi piace andare in direzione opposta a quel che vedo. Leggo i testi delle canzoni trap e vi trovo crudezza e disincanto, nei filosofi contemporanei trovo nichilismo. Così immagino un futuro avvolto da una nuova spiritualità». Giovanni Allevi, nell’ultimo disco «Hope» uscito il 15 novembre, con cui sta girando l’Italia in tour, per la prima volta ha inserito il canto nelle composizioni. Le voci bianche dei Pueri Cantores della Cappella musicale del Duomo di Milano e il coro dell’Opera di Parma rispondono proprio al suo desiderio di sacro, spiega il pianista e compositore di Ascoli Piceno: «Le voci mi hanno regalato un incanto e un candore che sono usciti di scena dalla società. E nei primi concerti vedo persone che piangono di commozione, facendomi pensare che ci sia bisogno di questa spiritualità. Spesso mi sento in linea con un’esigenza collettiva ancora nascosta e questo mi sorprende, vista la mia indole asociale».
«Hope» unisce composizioni di Allevi a sue personali riletture di classici natalizi, in un album di speranza, come suggerisce il titolo, che nasce però dal buio: «Non mi reputo un ottimista, ma sono convinto che le persone disadattate e incomprese contengano il germe del futuro e sia a loro che dobbiamo guardare, non a chi è integrato in questo momento di massimo splendore del conformismo». Viene in mente la trama di Joker, ma anche se la partenza è simile, l’esito è diverso, spiega Allevi: «Spero si riesca a guardare oltre le apparenze, ad avere rispetto per la diversità, ad abbracciare l’accoglienza, liberandoci da stereotipi e condizionamenti. E non voglio relegare la speranza a un futuro lontano, quanto proporne un significato nuovo, perché la speranza è potentissima». Fondamentale, secondo la sua visione, è il ruolo della donna: «Spero che il femminile diventi centrale nella società. Per troppo tempo la donna è stata fuori di scena o inquinata da stereotipi, ma non è un mistero che ora il mondo maschile si stia accorgendo del suo talento straordinario». Un altro augurio del pianista e compositore è un riavvicinamento alla natura: «Il mondo ipertecnologico e artificiale ci ha privato di questo contatto e con esso del contatto col divino. Siamo costantemente sotto i riflettori, ma dobbiamo armonizzarci con la natura e la sua discrezione».
Eterno Peter Pan, spesso considerato un enfant terrible della musica classica contemporanea, Allevi nel 2019 è arrivato al giro di boa dei 50 anni: «Non ci ho badato assolutamente, non amo ricorrenze e bilanci, non sono aristotelico — commenta —. Quel che posso dire è che sono contento di aver curato, negli ultimi 10 anni, l’alimentazione e l’attività fisica, così gestisco meglio i tour e gli spostamenti. Penso di esserci arrivato bene». Il suo auspicio, però, è di ritrovare uno sguardo più fanciullesco: «Qualche settimana fa, a Tokyo, ho fatto un concerto abbastanza disastroso — rivela —. Ho avuto dei vuoti di memoria, un tremore alle mani. Così ho vagato per la città a riflettere. Mi sono accorto di aver perso l’incoscienza dell’inizio, dei miei 10 anni, di quando mi buttavo». Così, da questa constatazione, arriva una nuova speranza: «Spero che le persone possano riprendere contatto col bambino e il folle che sono stati, uscendo dalle righe in un mondo che non ti perdona mai niente».
Barbara Visentin, Corriere.it