Giovedì 23 novembre, in prime-time su Italia1, torna “Le Iene presentano: Inside”, il programma di Davide Parenti dedicato ad argomenti trattati in precedenza da Le Iene, raccontati e approfonditi con ulteriori dettagli ed elementi inediti.
Il terzo appuntamento dal titolo “La Camorra” è un viaggio-racconto condotto da Giulio Golia e scritto da Francesca Di Stefano in cui si descrive una delle quattro mafie presenti sul nostro territorio. Nella puntata le testimonianze delle persone che continuano a combattere, nonostante le minacce, di chi si impegna come può per aiutare la propria realtà, di chi pensa di aver ritrovato la propria coscienza dopo averla perduta e di chi si è ribellato alla malavita. Insieme a Giulio Golia, per tutto il racconto, Roberto Saviano, lo scrittore, giornalista e sceneggiatore da sempre simbolo della lotta alla camorra, che ha scelto di denunciare tutti i lati oscuri di questo pezzo di criminalità e che, per questo, vive sotto scorta da 17 anni.
Alle telecamere della trasmissione Saviano comincia con queste dichiarazioni: «Il cortocircuito che nasce è sempre il solito. Se parli del male vieni considerato una sorta di diffusore del male, come se addirittura lo legittimassi o lo esaltassi, questa è la follia. Ho sempre visto in questo un meccanismo un po’ omertoso: non ne parlare, se non ne parli stai salvando il territorio, se ne parli, lo sta infettando, e invece è proprio questa l’unica cosa che teme davvero la criminalità organizzata, che si accenda un faro su quello che fa, che ci si accorga che esiste. Bisogna comprendere che si tratta di qualcosa che se la illumini si trasforma, se la tieni invece al margine continua a crescere nel silenzio. È brutto silenziare questo tipo di storie, perché mostra che in realtà non c’è alcuna priorità del racconto antimafia. Se lo fa qualcuno che politicamente sgradito ce ne frega niente, ma a valle di mafia o di qualsiasi altro argomento, ti si cancella.». Poi, continua: «Se tu accendi la luce, stai in qualche modo collaborando ad affossare un sistema. Se vai a Scampia trovi “Saviano merda”, “non siamo Gomorra”, e non c’è un “Di Lauro merda”, mai.».
Parlando con Golia della scorta con cui convive da 17 anni, Saviano spiega: «È come se questa cosa della protezione fosse diventata un dono, e toglierla un modo per toglierti valore. Non ho scelto io di vivere una situazione così terribile.». Golia gli dice: «Nell’immaginario collettivo pensano e dicono: “L’hanno minacciato ma è ancora vivo, gira con la macchina di Stato, gira con delle persone che ti fanno tutto, gli è cambiata la vita, non deve cercare parcheggio, trova sempre posto al ristorante…sono benefit”». Quindi, Saviano risponde: «È incredibile pensarla così. Ti sembrano benefit, ma quello che dici in realtà non è vero. Avere la scorta non è avere gli autisti. È una vita rinchiusa, non sei mai solo, ogni volta sei costretto a una procedura infinita. Non è un privilegio, è un dramma. Non può mai nascere la spontaneità di un gesto, un cambio di itinerario. Se io, in questo istante, ti chiedo di andare al bagno, vedrai che dietro la mia porta c’è una persona, e questa cosa va avanti da quando ho 26 anni. Ora ne ho 44, ha scassato tutto.». «Quindi – chiede ancora Golia – i rapporti personali…», «Tutto, scassa tutto.», risponde Saviano, aggiungendo: «Ma poi anche il fatto che tu non stai morendo, e quindi è come se negassi la vocazione al martirio che la tua storia ha portato. Cioè, dicono: “Ma come, tu dovevi morire a 26 anni, ne hai 44 e sei ancora vivo, allora è una fesseria.” La logica è quella per cui “se davvero volessero ucciderti l’avrebbero già fatto”. E allora perché proteggere le persone, se tanto “se lo vogliono fare lo fanno”, e non è così.». «Pensi alla morte?», chiede Golia. Afferma Saviano: «Io penso la morte, il problema è che me ne hanno parlato così tanto della mia morte che non mi fa particolarmente paura. Il problema vero è continuare a vivere così. Cioè questo è il vero terrore, il fatto che loro siano riusciti a tenermi in una dinamica di non morte e non vita, mi hanno lasciato a metà. Ed è tempo che io faccia qualcosa perché questa vita così smette di essere vita. Questa vita ti mangia, ti consuma, non ti riconosci neanche più. Io sono un uomo a cui piace ridere, a cui piace la vita, campare… voglio fare errori, voglio camminare ubriaco nella città… Sono cose quasi impossibili, anche perché per attaccare la tua battaglia delegittimano te; quindi, ti devi comportare anche in un certo modo. Ma io non sono questo, non volevo essere questo».
Roberto Saviano parla anche di Napoli, la sua città: «Quasi mai si va a fare un’analisi sulla dinamica che ha generato una stesa. Si va a fare semplicemente un’analisi sul livello di violenza cui sono arrivati i minori, sul perché questi ragazzi prendono le pistole, e quasi sempre si va nello stereotipo: “hanno visto Gomorra, hanno visto Mare Fuori, hanno visto Romanzo Criminale e vanno a sparare”. È un’assoluta fesseria, è una vecchia eterna polemica. Il vero problema è che è molto facile dire: “Hanno visto Gomorra e sparano”. È molto più difficile raccontare che cosa è la diffusione delle armi a Napoli. Un dato impressionante è che nel 2022, in sei mesi, hanno sequestrato circa due armi al giorno solo nella città di Napoli. Può essere che in una situazione del genere, con la città piena di armi, tu utilizzi la scorciatoia culturale “siccome lo vedono in televisione allora sparano?”.».
Nella puntata anche le dichiarazioni, le testimonianze, le analisi e i racconti dell’Onorevole Federico Cafiero de Raho, che ha condotto numerosissime inchieste contro il clan dei Casalesi e del magistrato Catello Maresca, procuratore per dieci anni della DDA di Napoli che ha portato all’arresto il boss Giuseppe Zagaria.