Da Amazon alle produzioni di casa nostra, così la televisione ritrova il suo ruolo didattico grazie alla narrativa
A gennaio a Cinecittà iniziano le riprese de «Il nome della rosa»: la serie, però. Producono con ambizioni di distribuzione internazionale la Palomar di «Montalbano» e 11 marzo per Rai Fiction: il protagonista Guglielmo da Baskerville sarà John Turturro, Rupert Everett l’inquisitore Bernardo Gui, il giovane e ancora sconosciuto attore tedesco Damiel Hardung il monachello Adso, e Giacomo Battiato («Karol») il regista.
Stesso destino per «Il Gattopardo»: Indiana Productions, che ha acquisito i diritti del romanzo da Feltrinelli, che quasi sicuramente sarà coinvolta nell’operazione, sta cercando partner internazionali e attori di grido per una serie che vuole fa dimenticare Visconti e arrivare in tutto il mondo. Anche per «Il Signore degli Anelli» si prospetta un futuro televisivo e seriale: nel 2020 su Amazon, sarà un kolossal da 250milioni di dollari. Nell’accordo è prevista anche la realizzazione aggiuntiva di uno spin off. Nel listino della casa di Jeff Bezos da tre stagioni c’è «The Man in the High Castle», alias (per noi italiani) «La svastica sul sole», capolavoro letterario di Philip Dick: il primo titolo di richiamo con cui Amazon ha lanciato il servizio in streaming, che infatti a gennaio bissa con «Electric Dreams», sempre Dick ma racconti a comporre una serie antologica. Mentre tra gli ultimi arrivi brillano i fitzgeraldiani «Z-L’inizio di tutto» e «The Last Tycoon». C’è chi dice che sia inevitabile che Amazon sviluppi serie da romanzi (e in seconda battuta anche dalle graphic novel), viste le sue origini di grande libreria on line.
Anche «Il trono di spade», massimo bestseller seriale, deriva da una saga letteraria di culto: in tv è letteralmente esplosa, come fama e come trama, con la serie che ha preso il sopravvento ed è andata oltre quanto raccontato nei libri da R.R. Martin.
HBO e Amazon, ma anche Hulu e Netflix. Che, solo per restare agli ultimi mesi, si sono divisi i libri di Margaret Atwood: «Alias Grace» è titolo Netflix e «Handmaid’s Tale» Hulu. In onda su Timvision in Italia, della serie che ha trionfato agli ultimi Emmy ad aprile vedremo la seconda stagione: in contemporanea Usa/Italia.
E a libri, è bene ricordarlo, sono ispirati anche i grandi affreschi del crimine di casa nostra: «Romanzo criminale», «Gomorra», «Suburra». È attraverso loro che passa lo svecchiamento dell’idea di serialità made in Italy. E questo senza andare a toccare il grande, inesausto bacino di gialli e polizieschi. A LaF che, sempre per via delle sue origini (F come Feltrinelli), ha fatto delle serie da autori arcinoti un punto di forza del palinsesto, sostengono che a ogni serie tratta da un romanzo corrisponde un’impennata dei libri.
Insomma la tv come grande biblioteca popolare. Come era già stata nella seconda metà del secolo scorso. Poi però la tv dei broadcaster commerciali aveva affossato quel prodotto che sapeva di colto e stantio. Il cinema, un po’ più elitario, aveva continuato a farlo con risultati più che soddisfacenti. L’era delle pay e dello streaming ha creato fame di titoli di alto profilo e richiamo. E allora chi meglio di romanzi universalmente accreditati e dalle articolate trame? L’importante è non averne soverchio rispetto e adeguarli ai gusti del pubblico: cast fastosi, scenari imponenti, una spruzzata di sesso, lusso e violenza quanto basta.
Il paradosso semmai sta nel fatto che per vie tortuose e non volute, la tv – nel momento in cui rinnega più vistosamente ogni funzione didattico/educativa – stia ritornando ad averla. La narrativa, ma anche la Storia. Negli Usa, dove il passato è il grande buco nero del sistema scolastico, la tv indirettamente ne veicola sempre più i contenuti: piacciono le serie che viaggiano nel tempo e hanno solide basi storiche, in cui si stanno facendo largo da poco anche i canali factual come National Geographic, Discovery e History (con il sovrappiù, loro, di una irrinunciabile e dichiarata base di documentazione storica).
Qualche titolo recente o imminente? «Aquarius» sulla famiglia Manson con Duchovny, «Tutankhamon» sulla scoperta della tomba del faraone-bambino, i viaggi nel tempo di «Timeless» e «22.11.63», gli infiniti period drama «Borgia», «Tudor», «Medici», «The White Queen», «Radici», i Templari di «Knightfall» e i selvaggi «Vikings», «Downton Abbey» e «The Crown», gli «American Crime» su O.j. Simpson e su Versace di Ryan Murphy, Einstein e Picasso by Ron Howard, la caccia a Unabomber e i soldatini a Baghdad 2004 di «The Long Road to Home»…
È vero si tratta solo di frammenti, non c’è visione di insieme né profondità nei fatti, ma il seme è piantato. Potrebbe germogliare nelle teste dei telespettatori.
Adriana Marmiroli, La Stampa