“Chi può aiuti i giovani cineasti italiani, sono bravissimi”, Martin Scorsese al termine di una travolgente lezione di cinema e di vita, dopo due ore di racconto sui film italiani che lo hanno formato si rivolge così al pubblico in sala – presenti tra gli altri Tornatore, Piovani, Ferretti e Lo Schiavo – che senza un momento di disattenzione lo ha ascoltato. Premio alla carriera alla Festa del cinema di Roma, il 75enne regista di New York ha rivelato di un suo progetto “che non è andato a compimento per la sua morte” che stava preparando con Federico Fellini. “Un documentario sulla produzione e gli attori. Lo avremmo prodotto con la Universal”, ha detto.
Scorsese ha raccontato i nove film, tra i molti, del cinema italiano che tra gli anni ’50 e ’60 lo hanno formato, commentando spezzoni significativi, ricordandosi come fosse ieri luogo e occasione in cui li aveva visti per la prima volta, raccontando aneddoti curiosi, minimi con la sua solita generosità, come parlasse appunto ai suoi studenti di cinema. “Sono i film che mi hanno ispirato per il futuro, quelli che sono stati per me scuola di cinema, quelli di cui si possono trovare tracce nelle mie opere”, ha spiegato. Non i capolavori assoluti del nostro cinema, mancherebbero ad esempio i film del neorealismo da Roma Città aperta a Ladri di biciclette che pure ama, ma i suoi film di formazione. E in un ordine crescente evidentemente perché per gli ultimi tre hanno portato quasi alla commozione Scorsese per quanto hanno rappresentato.
Dopo il dialogo con il direttore del festival Antonio Monda il premio consegnato da Paolo Taviani con il pubblico in piedi ad applaudirli. I nove film con cui Martin Scorsese ha omaggiato il nostro cinema sono Accattone di Pasolini (1961), La presa del potere da parte di Luigi XIV di Rossellini (1966), Umberto D di De Sica (1952), Il posto di Olmi (1961), L’eclisse di Antonioni (1962), Divorzio all’italiana di Germi (1961), Salvatore Giuliano di Rosi (1962), Il Gattopardo di Visconti (1963) e infine quello che ancora oggi, con la sua esperienza e la sua passione anche di restauratore con la sua Film Foundation, lo lascia senza parole, Le Notti di Cabiria di Fellini (1957).
– Accattone di Pasolini, “è stato il primo film che ho sentito vicino, con personaggi con cui sono riuscito ad identificarmi, fu un’esperienza potente, uno choc vedere una cosa così in connessione con me. La rappresentazione della santità dell’animo umano, la sofferenza di chi è alla base della società non mi hanno più lasciato”.
– La presa del potere da parte di Luigi XIV di Rossellini può sembrare una scelta sorprendente, “della filmografia di un maestro del neorealismo, eppure in quella produzione televisiva, nel suo periodo ‘didattico’ ho trovato un’influenza. In quel film, Rossellini riduceva all’essenziale, ‘l’arte non è importante, l’importante è l’educazione’ “mi disse a metà anni ’70 quando lo conobbi a Roma. Quel film mi ha aperto la strada e ne ritrovo semi in Toro Scatenato, Re per una notte e in tanti altri”.
– Umberto D di De Sica “è un film straordinario, non è sentimentale come può sembrare. E’ l’apice del neorealismo ma già contiene altro. L’anziano protagonista racconta di una società che è già cambiata rispetto al dopoguerra”.
– Il Posto di Olmi “è speciale per me. Il distributore americano, che possedeva numerose sale, ne fu talmente innamorato che decise di mostrarlo gratis il primo giorno. E’ un film di grande purezza, ha uno stile quasi documentaristico, scarno. Per Toro scatenato fu un’ispirazione”-
– L’eclisse di Antonioni “non fu di facile lettura, è un’opera, come le altre del regista, che bisogna imparare a leggere e la mia energia è più veloce. Ma rivedendo scena per scena, come fosse un’opera di arte moderna da guardare e riguardare con attenzione per capirla, ho imparato l’uso dello spazio, una messa in scena che diventa composizione artistica, narrativa stessa. Antonioni ha ridefinito l’immagine”.
– Divorzio all’italiana di Germi “con il suo stile satirico, l’umorismo fine, il movimento di macchina con le inquadrature incollate su Marcello Mastroianni. Non ci sono dubbi quanto mi abbia influenzato ad esempio per Quei bravi ragazzi”.
– Salvatore Giuliano di Rosi “è difficile da commentare per quanto mi emozioni ancora oggi. La madre del bandito che si dispera sul corpo del figlio è La Madre”, racconta Scorsese e rimanda alla Tentazione di Cristo ma anche ad altro. “Questo film ha motivi ancestrali per me, rappresenta il Sud, la tragedia e le sofferenze del Meridione, della Sicilia da cui partirono i miei nonni nel 1910. In America ci fanno crescere dicendo di non tirare fuori le emozioni, vedere Salvatore Giuliano con quell’esplosione di sentimenti è tornare alle origini”.
– Il Gattopardo di Visconti “è antropologia della vita, un microcosmo che rimanda al macrocosmo. La lezione di Visconti con quel passaggio del tempo mi ha sempre colpito molto, così come il suo stile lussureggiante diametralmente opposto a quello di Antonioni”, ha spiegato Scorsese citando anche L’Età dell’innocenza, il più viscontiano dei suoi film. Anche qui un aneddoto personale: “Donnafugata è il paese di origine di mia nonna Cimina”.
– Le notti di Cabiria di Fellini con la scena finale di Giulietta Masina che passa dal chiedere di morire allo sguardo pieno di lacrime e voglia di vivere “è qualcosa di religioso, sacro. E’ una rinascita spirituale”.
Alessadra Magliaro, ANSA