Al cinema con Bridget Jones’s Baby: «Da anni vivo in simbiosi con lei. Le chiedo persino consigli personali: mi ha aiutato a crescere. Lei è autentica nelle sue paure»
Renée Zellweger, 47 anni mentre ne ha qualcuno in meno il suo personaggio Bridget Jones, non ha alcuna intenzione di continuare a parlare dei suoi (presunti) ritocchi e, sebbene levigato, il suo volto è lo stesso di un tempo: quello dell’eterna e volitiva ragazza texana «in carne», ride lei, «e non ossessionata dalle diete». Fu proprio il personaggio di Bridget Jones, singolona impenitente nata dalla penna della britannica Helen Fielding, a portare Zellweger al successo internazionale: era il 2001, e Il diario di Bridget Jones dava inizio (con tanto di nomination all’Oscar come migliore attrice per lei) a una «saga» che arriva ora al terzo capitolo. «Saremo presto sugli schermi in Bridget Jones’s Baby; ma già da prima di questo nuovo episodio, Bridget è diventata la mia migliore amica. Vivo in simbiosi con lei: le chiedo perfino consigli! Mi ha aiutato a maturare, a dosare ragione e sentimento».
Già nel 2001 Renée divenne popolarissima per quel ruolo, che poi negli anni ha accompagnato tra passioni e delusioni del cuore e conquiste da donna in carriera: nel nuovo round, da redattrice che era, è un’affermata produttrice in tv. Che a oltre 40 anni si ritrova poco sicura di chi, tra i suoi accompagnatori, potrebbe essere il padre del bimbo che attende: l’americano Jack (Patrick Dempsey), fondatore di un sito di incontri e avventura di una notte, o l’eterno grande amore Mark Darcy (Colin Firth)?
Fu con Tom Cruise, e il film che girarono insieme nel 1996, Jerry Maguire, che la carriera di Zellweger decollò. «Da ragazza volevo diventare una giornalista e girare il mondo. Di recente peraltro l’ho anche fatto: sono stata in Africa come volontaria. Ma di me si parla sempre per sciocchezze». Come i «ritocchini» di cui i media l’hanno accusata dopo che, nel 2014, si era presentata su un paio di red carpet con un viso molto tirato e «nuovo». «Si parla sempre dei ritocchi al femminile, poco di quelli al maschile. Questo sì sarebbe un dibattito divertente… Io? Non è vero che ho fatto trattamenti chirurgici, basta confrontare le mie foto, quelle vere, non quelle ritoccate a mia insaputa per le copertine dei giornali, per accorgersene».
Il tempo che passa: «Accompagnare la tua vita nel corso del tempo non è affatto facile», considera. «Sono stata fortunata. Il mio mestiere, che non era una vocazione all’inizio, mi ha dato molto e io sono impegnata nel restituire. Negli ultimi tempi ho dedicato tempo alla mia relazione con un musicista, Doyle Bramhall, che ho conosciuto da ragazza in Texas e che cinque anni fa ho ritrovato. Alle mie spalle ho due genitori che sono sposati da più di 50 anni: provengo dalla middle class, e penso che un attore possa avere successo ma anche sentirsi solo e sempre scrutato». E Bridget Jones, spiega Zellweger, sin dal primo film, «come me ascoltava canzoni che le toccavano il cuore: i Beatles, gli Abba. Era autentica nella sua paura di essere sola. Era e resta sincera in tutto. Non è un’eroina. E io sono orgogliosa dei nostri film, basati su un essere umano e non su effetti speciali». Anche per questo, spiega, «sono tornata da lei, dopo una lunga pausa. Volevo accompagnarla nei suoi primi “anta”».
Come Bridget, infine, anche Zellweger è oggi produttrice. Ma al cinema. «Vorrei realizzare piccoli film di valore, come tanti che ho interpretato prima di Chicago; comeWhite Oleander, dove avevo al fianco Michelle Pfeiffer». E alla fine, il mistero sul papà del bambino di Bridget resta fino all’ultimo. «Abbiamo girato diversi finali: non posso dire quale finora abbiamo scelto. Restare credibile è la regola che mi hanno dato i miei genitori: tutto il resto è sterile gossip».
Corriere della Sera