«Tutte le famiglie felici si somigliano. Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». L’incipit non poteva che essere una citazione della sentenza più celebre e definitiva sui rapporti familiari. Del resto Tolstoj già ai tempi di Anna Karenina pensava anche ai De André, Cristiano e le sue figlie: ennesimo esempio, uguale e diverso, di un’infelicità sedimentata in anni di groviglio, come serpenti, accuse pubbliche e private, ferite che non si rimarginano, parole che ogni volta sono sale che le irrita. L’ultimo capitolo di una serie di incomprensioni, distacchi e durezze, incomunicabilità e veleni, è la partecipazione al Grande Fratello di Fabrizia e Francesca.
In un ginepraio di rancori, bisogna prima riassumere l’avviluppato albero genealogico di famiglia: Cristiano dalla prima moglie Carmen de Cespedes ha avuto Fabrizia (1987) e i gemelli Francesca e Filippo (1990). Poi un’altra figlia (Alice, 1999) dalla relazione con Sabrina La Rosa, ma questa è un’altra storia. Con le ragazze più grandi gli scontri sono continui, soprattutto con Francesca che li ha spesso messi in piazza nel salotto pomeridiano senza pareti di Barbara D’Urso («schiaffi e pugni, mio padre è un violento») in un’escalation a chi ferisce di più che arriva alle querele per diffamazione. Perché si era giunti a tanto, a diffamare il proprio sangue? Cristiano De André aveva dato la sua versione dei fatti: «A 24 anni un giudice mi ha tolto l’affidamento dei figli, non c’è stato tempo di raccontare loro chi ero. Carmen, la madre, li ha riempiti di rancore nei miei confronti, li ha cresciuti a pane e veleno».
L’ultima diffida (padre contro figlie) è di pochi giorni fa. Fabrizia e Francesca decidono di partecipare al Grande Fratello, il programma che è il buco della serratura sull’intimo, spettacolarizzazione di noiosi scambi di isterismi, piagnistei, edonismi. Alla fine Fabrizia rinuncia (non per amore paterno, ma materno, non vuole stare lontana dal figlio); Francesca invece tira dritto: «Non ho paura di mio padre, è lui che ha la coda di paglia». Cristiano De André allora sceglie Facebook per spiegare una diffida che si è comunque rivelata una pistola ad acqua: «Non sono più disposto ad accettare che venga strumentalizzata, denigrata e diffamata la nostra famiglia — scrive il figlio di Fabrizio —. Non ho mai risposto pubblicamente alle continue accuse delle mie figlie nella speranza che la cosa andasse scemando, in quanto ritengo che in una famiglia i problemi e le incomprensioni esistano, ma che debbano essere affrontate e risolte al suo interno e non svendute nei salotti televisivi, che hanno il mero scopo di incrementare ulteriormente dissapori per fini speculativi». Accusa il circo mediatico De André, dove la regola è che l’ospite viene invitato solo se accende una polemica, denuda dissapori, rivela gioie (un amore) o dolori (una disgrazia).
Dice di essere sempre disposto ad un confronto con le figlie, ma non pubblicamente; assicura di non aver mai smesso di mantenerle e provvedere a loro. È qui che arriva il «ma», come in ogni contrasto che si rispetti. «Ritengo che essendo ormai donne di 29 e 32 anni sia giunto il momento che si tolgano questa veste di vittimismo e dimostrino di avere stoffa e capacità reali che giustifichino la loro presenza nel mondo dello spettacolo. La mia diffida ha l’unico scopo di tutelare la nostra famiglia e chiaramente anche loro, in modo che esprimano ciò che sono davvero, gettando via questa maschera dietro la quale si sono nascoste per troppo tempo. Le mie figlie, lo dico a malincuore, hanno preferito cercare un “successo” veloce, attraverso trasmissioni che considero di bassa levatura. Sicuramente avrò commesso degli errori come padre, ma non ho mai smesso di amarle. Soffro a vedere le mie figlie abbandonarsi a questo vuoto». Del resto ogni vuoto ciascuno lo riempie a modo suo.
Renato Franco, Corriere.it