Prodotto da Sky HD, il film sarà nelle sale il 3, 4, 5 aprile
Il genio di Raffaello, la sua straordinaria intelligenza, la capacità di aprirsi al nuovo per creare i capolavori assoluti dell’arte rinascimentali sono al centro di un film in 3D, nelle sale cinematografiche il 3, 4 e 5 aprile. Prodotto da Sky HD (con Sky Cinema e Sky Arte), ‘Raffaello il Principe delle Arti’ non solo si è avvalso di tecnologie di realizzazione più avanzate, ma soprattutto propone per la prima volta sia al grande pubblico sia agli esperti la ricostruzione di opere capitali andate perdute, come la parete della Cappella Sistina prima del Giudizio Universale di Michelangelo, quando la parete dietro l’altare riuniva gli eccelsi dipinti di Perugino e dello stesso Buonarroti. Presentato oggi alla stampa proprio nella Sala Raffaello dei Musei Vaticani, il film di Sky (distribuito da Nexo digital) ha una durata di 90 minuti e ripercorre le vicende umane e artistiche del genio urbinate, sin dalla tenera infanzia strettamente collegate, in quanto figlio di Giovanni Santi, che a Urbino, tra le capitali dell’arte e della cultura di fine ‘400, era tra i pittori più apprezzati e richiesti.
A dare il volto all’artista nelle ricostruzioni storiche è l’attore e regista Flavio Parenti, mentre Enrico Lo Verso è il padre che lo introduce ancora bambino nella sua fiorente bottega. Rimasto orfano a 11 anni, il giovane Raffaello prende in mano l’attività paterna e dotato di un talento eccezionale a 16 anni è già maestro. Urbino, nonostante lo splendore della corte, ben presto sta stretta al pittore, che si reca a Firenze, dove, grazie all’incontro con Leonardo, il suo stile si rinnova profondamente. Ma è a Roma che trova il successo, in virtù del favore dei papi che nella sua breve esistenza si sono succeduti sul soglio pontificio. Catturati da una maestria senza pari, ma anche dai modi di raffinato cortigiano, che gli fanno guadagnare le commesse più importanti del tempo. Basti pensare che a soli 26 anni affresca gli appartamenti privati di Giulio II, realizzando un’opera ai vertici dell’arte di tutti i tempi. A Roma conosce anche la cosiddetta Fornarina, interpretata da una emozionata Angela Curri (e Marco Cocci è Pietro Bembo), musa del maestro urbinate.
L’excursus storico-artistico, realizzato in gran parte con la collaborazione dei Musei Vaticani, si snoda attraverso 20 location e presenta 70 opere, di cui oltre 40 di Raffaello, fra cui le principali opere dell’artista custodite nei musei italiani ed esteri, come lo Sposalizio della Vergine, la Madonna del Cardellino, La Scuola di Atene, La Fornarina, La Velata, La Madonna Sistina, la Trasfigurazione. Un connubio tra spettacolo e arte, anche per la formula scelta dopo un anno e mezzo di attenta preparazione, vale a dire affidare il commento delle diverse fasi della formazione e dell’evoluzione dello stile dell’urbinate a tre dei maggiori esperti della sua arte. Se Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani sino al 2016, è la guida appassionata e autorevole alla scoperta delle opere che Raffaello realizzò durante il suo periodo in Vaticano, Vincenzo Farinella, professore associato di Storia dell’Arte Moderna alla Scuola Normale di Pisa (e anche consulente scientifico del film) racconta il periodo di formazione ad Urbino, mentre lo storico dell’arte Antonio Natali (dal 2006 al 2016 direttore degli Uffizi) nel film affronta il periodo fiorentino. Scenografia e costumi sono stati curati da due eccellenze del cinema italiano, rispettivamente Francesco Frigeri e Maurizio Millenotti, che ha coperto di velluti Flavio Parenti e cucito addosso alla Curri l’abito della ‘Velata’.
Ma la vera emozione viene dalla ricostruzione della Cappella Sistina il 26 dicembre del 1519, ”momento zenitale – ha detto Paolucci – della vita di Raffaello, a pochi mesi dalla morte avvenuta nell’aprile del 1520”. In quella data, il giovane maestro poteva ammirare l’esposizione di sette dei suoi magnifici arazzi, appena arrivati dalle Fiandre, affiancare i capolavori di Perugino e di Michelangelo. Di quelle opere (a parte la volta e gli arazzi) non esistono testimonianze pittoriche. L’aspetto precedente si può solo dedurre dai disegni sopravvissuti e dalle supposizioni degli storici dell’arte. Sulla base di tali studi la produzione ha quindi commissionato a un pittore professionista la realizzazione delle opere perdute, per ricollocarle in maniera virtuale sulla parete ora occupata dal Giudizio Universale. Il risultato non vuole chiaramente essere una filologica ricomposizione di un insieme perduto per sempre, ma un effetto di credibile spettacolarità capace di riportare alla luce, dopo cinque secoli, l’effetto della Cappella Sistina come apparve quella fatidica notte del 26 dicembre 1519.
ANSA