In sala il 2 marzo in 400 copie la commedia grottesca dell’ex Youtuber che racconta di un microscopico paese dell’Appennino dove la morte di una contessa attira la trasmissione ‘Chi l’acciso’ e i turisti di tutta Italia
Cos’hanno Cogne, Garlasco o Avetrana più di Acitrullo, piccolissimo borgo in provincia di Campobasso? È la domanda che si fa il sindaco Piero Peluria nella commedia Omicidio all’italiana, che esce il 2 marzo in 400 copie. L’ha scritto, diretto e interpretato l’ex Youtuber Maccio Capatonda (nome d’arte per Marcello Macchia), già regista per il cinema con Italiano medio, che ha preso “ispirazione dal turismo dell’orrore dell’Isola del Giglio con i turisti che si facevano i selfie sullo sfondo della Concordia naufragata” per raccontare una realtà, quella delle società italiana, “dove gli spettatori si appassionano con morbosità ai fatti di cronaca nera nello stesso modo in cui si appassionato alle fiction o alle soap”.
E così il sindaco Piero Peluria (lo stesso Maccio che nel film si fa in tre interpretando anche il politico dallo slogan facile, Filippo Bello, e il padre di famiglia, Eugenio Normale) non sapendo più cosa inventarsi per fermare l’emorragia di paesani che giorno dopo giorno ha svuotato il borgo arroccato sulla montagna (nella realtà si tratta dell’abruzzese Corvara, abbandonata dopo il terremoto degli anni Trenta) crea “artificalmente” un omicidio, trasformando la morte per soffocamento della contessa Ugalda Martirio In Cazzati con il dolce tipico Babbacchione, in un assassinio. Neanche il tempo di far ritrovare il corpo, assurdamente trafitto da dodici coltelli da tavola, che una troupe della trasmissione che fa picchi d’ascolto senza precedenti Chi l’acciso è già sul luogo con tanto di videocamere, truccatori, camper ma soprattutto l’anchor di punta Donatella Spruzzone, interpretata da Sabrina Ferilli. “L’intrattenimento sulla cronaca e in particolare la cronaca nera – dice l’attrice – è molto cambiata negli ultimi anni, siamo diversi noi. Quello che mi stupisce non è tanto il presentatore incline a spettacolarizzare tutto ma spesso gli stessi diretti interessati, come se essere in televisione e raccontare il dolore sia l’unico modo di garantire a tutti – compresi a se stessi – che questo dolore c’è stato. Questo è molto triste. Questa moda di intrattenere con la notizia viene dall’America, viene raccontato un evento drammatico e intorno gli viene costruito questo carosello di eventi e dettagli per lo più irrilevanti per il fatto o per l’analisi di quello che è successo. Si finisce così per raccontare il dolore svuotandolo di ogni significato, il dolore che presuppone lutto, solitudine diventa show”.
“Per scrivere il film sono andato a Cogne – racconta Maccio – là parlando con l’albergatore mi sono fatto raccontare cose che poi ho messo nel film, come quando i giornalisti arrivavano a spiare dalle finestre le persone dentro le case. Mi sono avvalso di un vero criminologo, ogni volta che gli sottoponevo una cosa che mi sembrava troppo caricaturale o estrema lui mi rispondeva: “La realtà è peggio”. E la dimostrazione è stata quando si è scoperto del tour operator che organizzava visite al pozzo di Avetrana dove era stata ritrovata Sarah Scazzi“. Per costruire il personaggio di Donatella Spruzzone il regista non si fa remore ad indicare due riferimenti: la criminologa Roberta Bruzzone e la conduttrice Barbara D’Urso.
“Il film non vuole essere una condanna a qualcosa – spiega Maccio Capatonda – è il mio modo di raccontare la realtà che ci circonda in un modo che spero sia personale e originale e che faccia ridere. Mi interessava anche raccontare lo spaesamento che abbiamo di fronte allo scollamento tra la realtà e il mondo tecnologico di cui siamo circondati. C’è una scena nel film in cui il personaggio di Herbert Ballerina arriva in una zona non accessibile con il suo navigatore da smartphone e invece di dire che il programma non è aggiornato, parla di realtà non aggiornata. Erano il nostro modo di dire che i progressi tecnologici sono molto più avanti della realtà; stiamo ancora cercando di capire come vanno gestiti i social tra chi ne è dipendente e chi li snobba senza capire che sono mezzi di comunicazione e come tali vanno trattati”.
Chiara Ugolini, La Repubblica