Un libro fotografico per festeggiare tanti anni di lavoro. Dal primo spettacolo importante, nel ’77, quando la mamma lo spinse sul palco “con un calcio nel sedere” fino ai prossimi progetti. Netflix? “Il progresso non si arresta, ma io credo nella sala”
C’è il professor Cagnato di Grande, grosso e Verdone col ditino alzato, il Moreno Vecchiaruti con l’orecchino e il gel nei capelli, l’Armando Feroci di Gallo Cedrone col look alla Elvis, ma anche il produttore che ringrazia l’infinita lista degli sponsor sotto il diluvio torrenziale di C’era un cinese in coma, il dietro le quinte del suo ultimo film Benedetta follia ma persino il ciak di Un sacco bello, il suo primo film del 1979. Quarant’anni di carriera raccontati attraverso gli scatti di Claudio Porcarelli, fotografo “ma prima di tutto fan” che per trent’anni ha ritratto Carlo Verdone in tutta la sua produzione artistica e cinematografica. Il risultato è il bel volume UnoDieciCento Verdone, pubblicato dal Banco BPM, ma dal prossimo anno anche in libreria, un’occasione per ripercorrere la straordinaria parabola di regista e attore attraverso i suoi tantissimi volti. Il libro è dedicato alla mamma Rossana “la prima che credette in Carletto come attore, incoraggiandomi ad affrontare il mio primo importante e terrorizzante spettacolo teatrale nel 1977 con un calcio nel sedere. ‘Vai in scena, fregnone! Perché un giorno mi ringrazierai’ – racconta – E infatti non c’è giorno che non la ringrazi”.
Mamma Rossana e papà prof Mario. E tutti i caratteristi
La mamma Rossana, ma anche il papà, il professore Mario Verdone, hanno spinto un ragazzo timido e riservato a fare spettacolo. “La mia famiglia mi ha sempre stimolato a guardarmi attorno. Nel mio quartiere, tra Campo de’ Fiori e Trastevere, passavo le ore a guardare il rigattiere, il vetraio, il calzolaio, l’alimentari, quel teatro aperto cittadino, con la gente che si parlava da finestra a finestra, che oggi non esiste più. I romani sono stati deportati in periferia, si è persa quell’umanità e la città si è impoverita. I miei personaggi sono nati da quell’osservazione e dal furore creativo che ha fatto emergere con naturalezza e senza prove i vari Leo, Mimmo, Furio…” Oltre alla strada l’altra grande fonte di ispirazione è stata naturalmente il cinema: “Mio padre mi ha regalato la tessera del cineclub, con i film di Germi, De Sica, Risi, Steno, Monicelli o del primo Fellini ho capito la grande forza della seconda e terza linea di attori. Tutti amiamo Mastroianni, ma certi film senza i caratteristi non sarebbero niente, quel mosaico di personaggi veri che mi estraniavano sono quelli che mi hanno fatto innamorare di questo mestiere. Io nei miei film ho dato spazio agli ultimi grandi caratteristi, Sora Lella, Mario Brega, Angelo Infanti. Il difetto del cinema italiano di oggi è che sono tutti protagonisti, mancano le figure di contorno che sono state linfa vitale del nostro cinema”.
L’omologazione come il peggior male contemporaneo
“Me lo chiedono tutti e la risposta è piuttosto facile. Oggi è più difficile fare commedia rispetto al passato e la ragione è l’omologazione: una volta esistevano i tipi diversi oggi abbiamo tutti lo stesso tatuaggio, lo stesso IPhone – dice Verdone – al posto della critica è rimasto l’odio sociale e il turpiloquio, soprattutto sui social, si parla sempre di meno e si digita di più. Per un osservatore è molto faticoso, devi strappare un pensiero col forcipe. Credevo che dopo la seconda guerra mondiale peggio non si potesse andare e invece assistiamo alla guerra economica che ci porta ad un nuovo Medio Evo, il futuro mi preoccupa per i miei figli e per i figli dei miei figli. Nonostante tutto questo gli autori, i registi non devono arrendersi, devono continuare a raccontare con tatto e la giusta ironia la situazione difficile che stiamo vivendo. E non parlo solo dell’Italia, perché è un problema globale”.
Sordi, Troisi e le donne
Verdone ci tiene a sgombrare una volta per tutte l’equivoco di un parallelo tra lui e Alberto Sordi che, complice anche l’amicizia e collaborazione artistica tra loro, spesso viene fuori. “Sordi, come Aldo Fabrizio, sono stati grandi maschere, i loro personaggi sono frutti di un lavoro diverso. I miei personaggi non sono codardi come quelli di Sordi, sono mitomani e megalomani che però nascondono una grande fragilità soprattutto quando si ritrovano accanto alle donne. Sono nato in un periodo in cui il femminismo ha capovolto tutto e l’uomo è finito all’angolo del ring a prendere botte. Io e Massimo Troisi, in modo diverso, abbiamo raccontato le difficoltà dell’uomo che si relaziona con queste donne più consapevoli, più agguerrite. I miei uomini spesso sono sfiancati dalle donne che li circondano: pensate a Mimmo con la nonna, la Sora Lella, o Carlo diviso tra sorella e moglie in Io e mia sorella e avanti così”.
Netflix, Totti e il nuovo film corale
A chi gli chiede la sua opinione su Netflix, Verdone risponde: “Fa parte dell’evoluzione delle cose, non si può fermare. Personalmente la perdita della sala è un grande dolore, ma non so se i giovani capisono la dimensione della perdita. Io spero non accada perché la sala ha rappresentato il tempio della condivisione, ma oggi si preferisce la condivisione virtuale. D’altronde Netflix ha prodotto cose egregie e non sono d’accordo sul fatto che venga esclusa dai grandi festival come è accaduto a Cannes – prosegue Verdone che ha in progetto una serie scritta con Guaglianone e Menotti, prodotta da De Laurentiis che potrebbe approdare sulla piattaforma di Sarandos oppure su Sky – Ma il primo impegno è il nuovo film, non posso dire molto ancora se non che avrà un’impronta corale, io sarò il regista e uno dei sei o sette personaggi. Era dai tempi di Posti in piedi in paradiso che non mettevo su un film con tanti personaggi e ne avevo proprio voglia”. Definisce invece, con una faccia indescrivibile degna di un suo personaggio, come “fake news” la voce sul web di un suo possibile coinvolgimento come regista in una serie tratta dal libro di Totti: “Con Francesco ci siamo visti qualche giorno fa, ha tutti altri programmi e io non ho chiesto niente a lui e lui niente a me”.
Chiara Ugolini, repubblica.it