L’alieno che ci ha insegnato ad amare ia lingua italiana
Il conduttore, cacciato dalla Rai per giochi di potere, era l’alfiere del garbo sul piccolo schermo. «La morte? Non mi crea ansia, ma irritazione. La vecchiaia fa schifo»
(di Cesare Lanza per LaVerità) Luciano Rispoli è stato un protagonista più unico che raro, nello sguaiato mondo televisivo. Colto, raffinato, ironico. Educato, rispettoso degli altri. Divulgativo, competente, un maestro. Fissando così questi elogi, qualcuno (ma solo chi non l’abbia conosciuto!) potrebbe pensare che sia stato un uomo dimesso, un conduttore timido… Assolutamente no. Era, sempre dignitosamente, sicuro di sé e dei suoi diritti – nella vita e nel lavoro – così come era attento ai suoi doveri civili e professionali. Un alieno esemplare. L’esatto contrario rispetto a certi presentatori e conduttori di oggi: maschere ridicole, arlecchini invadenti e fastidiosi, urlanti, accomodanti, cortigiani o prepotenti secondo le occasioni, animati dalla voglia di apparire e di imporre le loro – sciocche – opinioni (scusate lo sfogo, avrei potuto continuare a lungo). Rispoli era tutt’altro: ha avuto successo per il suo stile, e lo ha anche pagato, perché non vi ha mai rinunciato. Mi ha invitato cinque o sei volte ai suoi programmi e puntualmente restavo ammirato e stupefatto davanti alla sua diversità. Tuttavia, avendolo conosciuto solo in occasioni formali, desidero lasciare spazio a chi gli è stato vicino o comunque lo ha conosciuto meglio di me.
Primo tra tutti, Mariano Sabatini, il «suo» autore, devoto sostenitore e amico: anche questo un caso bello e rarissimo, nelle consuetudini, per nulla ammirevoli, delle relazioni personali e di lavoro, nel cinico e ambiguo mondo dello spettacolo (dove dominano i compromessi e conta soprattutto agguantare il successo, denaro e riflettori, a qualsiasi costo). Sabatini, il 27 ottobre 2016, giorno successivo alia morte del conduttore, lo ha ricordato così: «Rispoli è mancato dopo una lunga malattia a 84 anni. Io posso solo dire, al di là del grande dolore che provo in questo momento, che è stato un grande privilegio collaborare 15 anni con un padre fondatore della tv come lui. Da Rispoli ho imparato tanto. Tutto. E mi dispiace che purtroppo questa Rai, a cui aveva dato tantissimo, negli ultimi anni lo aveva dimenticato, provocandogli grande rammarico». E ancora più accorato, in un altro intervento: «Erano gli anni Ottanta e io seguivo in tv Parola mia, avevo 15 anni e m’incantavo a seguire quel formidabile quiz sulla lingua italiana, tra definizioni ed etimologie, che Luciano Rispoli conduceva con grandissimo successo… Da quel momento decisi che avrei fatto il giornalista e, anche se allora non l’avrei mai immaginato, l’autore televisivo. Rispoli divenne il mio mito e cominciai a scrivere lettere. Non a lui, ma a tutti quelli che gli gravitavano attorno e che, nella mia fervida fantasia, avrebbero potuto dargli maggiori occasioni di lavoro o di visibilità: direttori di rete, capistruttura, direttori di testate importanti… Scrivevo ai colleghi presentatori per chiedere che lo invitassero. Conservo le tante risposte che ricevetti, alcune missive furono anche pubblicate. Sono una persona tenace. Nel frattempo avevo fatto delle parole il mio mestiere. Collaboravo con i giornali e trovai il modo di proporre una mia intervista, pensate un po’ a chi, a Luciano Rispoli! Lo chiamai trepidante e lui al solo sentire il mio nome, con la tipica voce nasale, sbottò: “Io la conosco!”. Pensai che mi avesse scambiato per qualcun altro, invece mi spiegò che gli parlavano di me e aveva ricevuto una o più lettere in cui peroravo la “causa” Rispoli. In particolare, Claudio Sabelli Fioretti insinuò che io non esistessi e che era lo stesso Rispoli a scrivere, per promuovere sé stesso. Così, per dimostrare all’ambiente la mia presenza tra i viventi, mi fece chiamare dalla redazione per invitarmi al suo talk show. Con un’emozione simile a quella che si prova nell’incontrare una rockstar, conobbi Luciano di persona dietro le quinte, pochi minuti prima di sedermi in studio con Walter Veltroni e Catherine Spaak, se non ricordo male. Da allora non ho più smesso di frequentare Luciano e questa storia fu raccontata anche sulle pagine del Corriere della sera. Sì perché, appena gli fu possibile, quando cioè gli venne a mancare un autore, Luciano mi chiese di andare a lavorare con lui. E il coronamento del sogno fu il remake di Parola mia che, insieme, realizzammo per Rai 3 nel 2002; ancora una volta con il giudice arbitro, professor Gian Luigi Beccaria, il famoso docente di storia della lingua italiana.»
Rita Forte, cantante e musicista: «Devo tutto a Luciano Rispoli: è stato lui a scoprirmi e a insegnarmi tutto quello che so sulla televisione… Mi portò con lui a Telemontecarlo e mi disse che potevo anche smetterla di dargli del “lei”. Io gli chiesi se andasse bene che lo chiamassi “zio Luciano”, lui rispose: “Sì, mi piace”… Due cose lo facevano spazientire, i “cretini”, l’unica parolaccia che si concedeva, e la telefonata a fine puntata dell’adorata moglie, il suo giudice più severo. L’ultima volta che vidi Luciano mi chiese di cantargli una canzone all’orecchio e io scelsi Unforgettable, cioè, “Indimenticabile”». Bruno Vespa su Twitter: «Luciano Rispoli, un grande signore d’altri tempi. Il piacere di parlare un italiano perfetto». Max Tortora: «Proprio grazie alla caricatura di Luciano Rispoli la mia carriera prese il volo. Fui scelto in Rai: nel provino mi presentai con una parodia su Luciano che metteva in luce un tipo di ironia basata sulla maleducazione, che invece era l’esatto opposto dello stile impeccabile e sempre puntuale di Rispoli. Agli autori piacque molto e cominciò la mia avventura…». Emmanuele Milano, ex grande dirigente Rai negli anni Ottanta: «Ricordo una grande lealtà e uno spirito di collaborazione sempre molto presente. E la splendida esperienza a Parola mia, nel preserale della mia Rai 1. Un programma che coniugava al meglio i doveri del servizio pubblico con una formula leggera». Maurizio Costanzo: «Avrebbe potuto tenere un corso di buona educazione televisiva». Francesco Specchia: «Il rispetto. Era il suo mantra. Ricordo una sera d’estate, in Puglia, alla presentazione di un libro: rimase a sorbirsi, con pazienza biblica, le domande e gli sfoghi di tutti i 200 astanti, firmando a ognuno di loro, sempre con il sorriso, tutte le copie del volume. Solo che il libro non era il suo, era il mio (lui s’era solo prestato gentilmente a presentarmelo). “Non volevo che fossi messo in imbarazzo…”, sorrideva, affogato in mezzo a una folla che nemmeno Sandro Pertini. Quando voleva sganciare una battuta zio Luciano fìngeva di essere sordo e un po’ rincoglionito; sorrideva e ti piazzava lì per lì una boutade, un cazzeggio, un paradosso che rosseggiava d’imbarazzo le vittime. Ecco, nella tv di oggi, forse manca un Rispoli cattivo». Gian Luigi Beccaria (linguista, saggista e critico letterario) tra il 1985 e il 1988 su Rai 1, e poi tra il 2002 e il 2003 su Rai 3, ha partecipato, come giudice arbitro del gioco a Parola mia: «Si creò subito una sintonia, fui accolto da Rispoli in modo stupendo. Lo sentivo al telefono ogni mattina presto. Si divertiva con le parole e non gli sfuggivano i neologismi che comparivano sui giornali. Mi chiamava per commentarli: ricordo ancora che ci divertimmo con il termine “saccopelisti”».
Ecco anche ciò che Rispoli diceva di sé. Sul suo matrimonio, celebrato da Padre Pio: «Il rito era fissato per le quattro del mattino a San Giovanni Rotondo, io e Teresa ci avvicinammo all’altare e dopo un po’ lui arrivò: era un uomo burbero, ai limiti della scortesia, frettoloso anche nella celebrazione del matrimonio. Dava la sensazione di adempiere con fatica e con fastidio agli obblighi enormi della sua vita di santo in terra». Sulla futura moglie, Teresa Betto: «Sapevo che aveva iniziato a uscire con un altro. L’ho chiamata e le ho detto: “Ti sposo io”. E lei: “Quando?”. Io: “A luglio”… Era aprile. Non potevo sopportare l’idea che vedesse quell’imbecille con cui trescava». In un’intervista del 2008, dopo l’allontanamento dalla Rai, Rispoli definì i dirigenti della tv pubblica dell’epoca «incapaci, spocchiosi e designati dalla politica… Nella mia lunga carriera ho proposto molti programmi interessanti, come Parola Mia, eppure quando proposi questa trasmissione a Claudio Cappon, mi rispose candidamente di non parlargli di programmi tv, perché lui si era sempre occupato di siderurgia…». Ricordava così Tappeto volante, in onda tutti i giorni dalle 12 alle 18.45 su Telemontecarlo: «All’inizio sembrava un’impresa quasi suicida: fare un programma così lungo, con un budget francescano, con pochi collaboratori, in uno studio televisivo appena attrezzato, ancora con i calcinacci per terra. Poi mi sono appassionato al dialogo continuo con gli spettatori, sui temi brucianti dell’ultima ora. E il costante aumento di ascoltatori ci ha premiato». Renato Franco, sul Corriere della Sera, di Parola mia ha scritto così: «Fu un successo che oggi finirebbe annegato: un quiz sulla lingua italiana – un po’ divulgazione, un po’ intrattenimento composto da tre rubriche: Conoscere l’italiano, Usare l’italiano, Amare l’italiano. Etimologie, significati delle parole, modi di dire, sinonimi e contrari, insomma l’abc per poter esprimere dei concetti in tempi in cui la forma non era così svilita. Quando la tv non era già stata irrimediabilmente infettata dal Grande Fratello». Rispoli era nato il 12 luglio 1932 a Reggio Calabria e morì il 26 ottobre 2016 a Roma. Entrò in Rai nel 1954 grazie a un concorso per radiocronisti e si dimostrò super creativo: partecipò all’ideazione di Bandiera gialla (che deve a lui il suo nome), poi alla progettazione anche di Chiamate Roma 3131 e della Corrida, resa celebre da Corrado. Scoprì e lanciò personaggi che sarebbero diventati famosissimi, tra gli altri Raffaella Carrà, Maurizio Costanzo e Paolo Villaggio. Si è congedato così: «È vero che a volte sono stato un po’ cerimonioso, ho fatto esercizi per parlare in modo meno iperbolico, ma non sono riuscito a cambiare una virgola. L’urlo, lo scandalo e la volgarità non hanno mai abitato nella mia televisione». E negli ultimi giorni: «Sono stati 80 anni interessanti e felici, tantissimi anni. E c’è un appuntamento che si avvicina, con la morte: non mi crea ansia, ma irritazione… La vecchiaia fa schifo.»