Disservizio pubblico sul servizio pubblico. Pare che, nel silenzio dei media, nel nuovo decreto legge sull’ editoria sia previsto lo slittamento del termine della scadenza per il rinnovo delle concessioni radiotelevisive con lo Stato. Ancora una volta, la proroga. La prima scadenza era in aprile, poi spostata a novembre e ora trascinata, di tre mesi, al 31 gennaio 2017 (non è ancora in Gazzetta Ufficiale, per quello è ignoto ai più) giusto il tempo di vedere se dietro la vittoria del “Si” o del “No” al referendum si possa celare l’ apocalisse politica del renzismo. Il governo si divincola, diciamo, nell’ imbarazzo.
La suddetta notizia sulle concessioni con lo Stato è assai importante. Il rinnovo delle concessioni prevede, per chi ne ha l’ esercizio, l’ esclusiva riscossione del canone; si parla di 1,7 miliardi. Anzi, oggi, col canone in bolletta la cifra si aggira su 2 miliardi- 2 miliardi e mezzo secondo le stime del Ministero dell’ Economia. Dalla notte dei tempi la Rai ne è stata unico benificiaro. Finora, per consuetudine, viale Mazzini si vedeva la concessione attribuita sulla fiducia, per diritto divino; ma oggi si ritrova altri concorrenti che, legittimamente, invocano l’ accesso a quel tesoretto. Concorrenti che, dati e programmi alla mano, fanno servizio pubblico come e più della vecchia signora di viale Mazzini. «Non esiste l’ assioma che il servizio pubblico deve essere svolto da un’ azienda pubblica, noi lo svolgiamo tutti i giorni, ad esempio», afferma Marco Ghigliani amministratore delegato de La7 «oggi dobbiamo pensare che il canone almeno andrebbe ripartito su più soggetti che dimostrino di avere i requisti per accedervi. Oppure, in subordine, agire almeno sulla raccolta pubblicitaria concorrenziale della Rai – che ora fa dumping – e fare come, per esempio, in Francia dove sulle reti pubbliche vige il divieto di spot in prima serata…».
Ghigliani ha ragione. La7 nei primi mesi del 2016 ha proposto 2300 ore d’ informazione, «il 30% in più delle proposta totale delle reti generaliste e quasi il 20% sopra Raiuno che si colloca al secondo posto». Tradotto: non sta scritto da nessuna parte, esplicitamente, che la Rai si pappi tutto il canone. Un po’ anche a noi, please. È una vecchia battaglia di Giovanni Minoli, combattuta ossessivamente su Radio24 e dalle colonne del Sole 24Ore: «A livello di governo, rimandano e non riescono a risolvere strutturalmente il problema», afferma Minoli: «Perché, mi chiedo, i quasi 400 milioni di euro che si dovrebbero recuperare dall’ evasione col canone in bolletta non li mettono a bando tra Rai, radio e televisioni private, destinandoli a programmi che fanno davvero servizio pubblico?».
La domanda di Minoli è corretta. E non è rimasta inascoltata. Tanto che anche Reteconomy, canale satellitare denso di programmi di servizio pubblico (sul 512 di Sky) in chiave economica, si è decisa a spuntare almeno una parte delle succitate concessioni. Afferma Andrea Baracco, amministratore delegato di Reteconomy: «Noi spieghiamo alla gente il fisco e l’ industria delle start up, le smart cities e il terzo settore, lo storytelling degli artigiani, l’ economia dello sport e il mondo del legal, con una redazione e servizi di prim’ ordine, sfido chiunque a dire che non facciamo servizio pubblico». E se si pensa che la stessa tv pugliese TeleNorba è quella che in assoluto, sul singolo evento (il disastro del treno in provincia di Bari) ha bruciato nell’ informazione i tg nazionali; be’, allora l’ esclusività del canone alla Rai diventa un ipotesi sempre più rarefatta. Non è un caso che sia La7 sia Reteconomy abbiamo, segretamente, messo la pratica in mano ai propri avvocati (Reteconomy allo studio milanese La Scala, La7 non si sbottona); allo studio è l’ attivazione della procedura migliore per arrivare al canone. E non è un caso che anche Radio24 sembra abbia aperto un fascicolo interno sulla faccenda, e ci stia facendo un serio pensierino. E suppongo non sia un caso che lo stesso ministro dello Sviluppo Economico Antonio Calenda sia lamentato – proprio in un faccia a faccia con Minoli – sul fatto che dalla Rai «non ci hanno presentato ancora un piano editoriale, dobbiamo davvero verificare e discutere su tutto…». Di ‘sti tempi la beneficenza non è di moda, diciamo.
In soldoni, la Rai si trova proiettata in un mondo nuovo. Per evitare che sulle concessioni mettano mano anche i concorrenti, deve dimostrare di saper fare servizio pubblico, senza fare dell’ audience il suo profeta. Deve tagliare i costi delle produzioni esterne (il 70%) e degli agenti. Deve tagliare almeno 5000 dipendenti stratificati in decenni di lottizzazioni geologiche. Deve spiegare perché Carlo Conti e l’ Annunziata – per dire – sono servizio pubblico e Crozza e la Gruber no. Deve destrutturare i palinsesti e adattarli alla rivoluzione delle piattaforme della «cultura convergente», come direbbe il sociologo Jenkins. Tra qualche mese, occhio all’ arrembaggio…
Libero Spettacoli