Nell’agosto del 1997 arrivavano sul piccolo schermo quattro bambini, sgradevoli e scorretti, e niente sarebbe stato più come prima. I creatori Matt Stone e Trey Parker si preparano alla 21esima stagione e precisano: “Non parleremo mai di Donald Trump”
Era vent’anni fa e chi c’era ricorda l’avvertimento che si diffuse nelle redazioni: “Occhio, una cosa simile in tv non si è mai vista”. Era vero ed era South Park. Ovvero, partendo da primi episodi costruiti pressoché a mano – il computer e la grafica arriveranno dopo – il cartone per adulti più rude e irriverente di sempre, linguaggio libero, temi idem, corrosività da schiantare tutto e tutti. E senza nemmeno nascondersi troppo dietro i quattro protagonisti bambini, sgradevoli al segno grafico, scorretti e scomposti, spesso in secondo piano per sfruttare invece la libertà assoluta dell’inventiva da disegnare.
Appunto South Park e niente sarebbe stato come prima, nel genere: ovvero, liberi tutti di fermarsi ai Simpson (acclamatissimi tutt’ora nella tv generalista, come, in misura minore, i Griffin): South Park era altro. Un universo di citazioni dal mondo là fuori, caricature di politici e simboli assortiti, nessun rispetto per nessuna religione (con qualche guaio quando si prese di mira l’islamismo. Ma non solo per l’islamismo): nel posto chiamato appunto South Park, sulle Montagne Rocciose, a mimare l’America di provincia di tante serie tv paludate e importanti, ma senza stare a farlo pesare troppo.
Matt Stone e Trey Parker, i due autori e creatori: era come se i due tizi più irriverenti d’America si fossero stufati di inventarsi l’un l’altro le battute e situazioni più irriferibili per trascorrere le serate e avessero deciso di farne un pubblico fenomeno mondiale: che conquistò appunto molti angoli del pianeta, con paradossi – ci sono paesi asiatici che mandano South Park ma vietano i Simpson – ma soprattutto, vista la durata e il fatto che tutto sta ancora in piedi, divenne il cartoon che mancava e di cui una foltissima schiera di appassionati non avrebbe saputo più fare a meno – e peggio per chi si scandalizzava. E che imponeva, il fenomeno, una netta scelta di campo: se ti piaceva South Park, se volevi scoprire episodio dopo episodio fino a che punto poteva spingersi il politicamente e umanamente scorretto, non ti saresti mai più accontentato di qualcosa di meno.
Vent’anni sono tanti ma non c’è segno di cedimento (se non quelli più che naturali): e vale anche per gli altri cartoons per adulti di livello. Significa che il genere regge, infinitamente più di quanto reggono le serie tv, anche quelle più fortunate – ed è ovvio, qui in carne e ossa ci sono solo gli autori e le figure animate non si stancano mai. Ma soprattutto, dopo aver traforato negli anni tutti i tabù possibili (su certi episodi a tema religioso è sceso spesso da noi un silenzio imbarazzato da parte di tutti), si tiene botta eccome sull’attualità, tra Usa e il mondo intero, e senza farsi ingabbiare da schemi di semplice satira politica: negli episodi che hanno chiuso la stagione numero 20 c’è sì la botta micidiale dell’elezione Trump – memorabile lo sfogo anti-Hillary di un Bill Clinton che chiude il penultimo episodio – ma ci sono soprattutto il marasma dei social, il viaggio verso Marte organizzato perché è il posto dove sicuramente non c’è il wi-fi, ci sono tecniche di trollaggio e descrizione di come si può essere hater sul web. Fermo restando il mare di citazioni continue, la musica anni Ottanta che irrompe spesso e volentieri a rendere ancora più grottesche certe situazioni e così via.
E quindi vent’anni con il ventunesimo in arrivo: la nuova stagione, annunciata per il 23 agosto, è stata spostata al 13 settembre negli Usa. Vaghe anticipazioni, la dichiarazione di Trey Parker che è suonata così: “Non parleremo mai di Donald Trump”. Spiegazione: non vogliamo finire come altri, programmi satirici oppure cartoni anche più che satirici, che stanno diventando un bollettino quotidiano su cosa ha fatto Donald, come lo ha fatto e dove andremo a finire. Ovvero, South Park deve vivere di vita propria e di libertà totale come sempre, soprattutto quella di andare addosso alle perversioni vere che tagliano in due l’umanità colpita ma gaudente, afflitta ma socializzata dei tempi. E ammesso che sia vera la boutade Trump, il mondo intero offre all’occasione tutti i riferimenti, umani, sociali, politici, per dispiegare cattiveria come sempre e anche di più.
Antonio Dipollina, Repubblica.it