“Tu mi fai girar come una bambola”, cantava Patty Pravo. Cionondimeno, la fashion doll di casa Mattel, commercializzata a partire dal 9 marzo 1959, ha fatto girare il mondo e pure l’economia. Sicché trasfigurare Barbie in un film, per giunta con attori in carne ed ossa, poteva risultare complesso quanto cucinare uno stracotto al barolo. Eppure, a partire da giovedì 20 luglio, la pellicola arriva nelle sale cinematografiche. Ça va sans dire, molte idee di bambole sul grande schermo sono passate sotto i ponti, a partire dal primo progetto datato 2008, prima che il film diretto da Greta Gerwig (Piccole donne; Lady Bird) vedesse la luce. Si sa, nella vita ci sono pochissime certezze, ovvero, la morte, le zanzare d’estate e le tasse. Tuttavia, crediamo che questa sia la migliore Barbie cinematografica possibile nel peggiore dei mondi possibili.
BARBIE, LA TRAMA DEL FILM
Sono tutte belle le Barbie del mondo. Soprattutto se tautologicamente abitano a Barbieland. Un luogo dove oggi è il giorno più bello di tutti, come lo è stato ieri e lo sarà domani. Un tempo scandito da un perpetuo e gigantesco party con tutte le Barbie, impreziosito da coreografie preparate e una canzone scritta apposta. “Che cool!”, come commenterebbe quel bel tomo di Ken (Ryan Gosling), perenne gregario con tartaruga addominale d’ordinanza e una spiaggia come amica. In questa amena terra di mezzo è sempre la giornata delle ragazze. In special modo per la Barbie Stereotipo (Margot Robbie), il giocattolo senza qualità, al netto della Barbie presidentessa, della Barbie giudice della corte suprema, della Barbie premio Nobel e chi più ne ha più ne metta. Ma l’imprevisto, tipo il tamarro dietro l’angolo cantato da Elio e le storie tese in Shpalman è sempre in agguato. Basta pensare di morire e la valle delle bambole va in frantumi. Alla bambololetta vengono i piedi piatti (che orrore!) e financo la cellulite (orrore moltiplicato all’ennesima potenza!). Bye Bye perfezione. L’unica via di salvezza è un viaggio alla scoperta della realtà, magari in compagnia dell’immarcescibile Ken. Solo che il globo terracqueo è una società degli uomini e per gli uomini. Riuscirà, quindi, una fashion doll a cambiare le regole del gioco?
BARBIE, LA TRAMA DEL FILM
Sono tutte belle le Barbie del mondo. Soprattutto se tautologicamente abitano a Barbieland. Un luogo dove oggi è il giorno più bello di tutti, come lo è stato ieri e lo sarà domani. Un tempo scandito da un perpetuo e gigantesco party con tutte le Barbie, impreziosito da coreografie preparate e una canzone scritta apposta. “Che cool!”, come commenterebbe quel bel tomo di Ken (Ryan Gosling), perenne gregario con tartaruga addominale d’ordinanza e una spiaggia come amica. In questa amena terra di mezzo è sempre la giornata delle ragazze. In special modo per la Barbie Stereotipo (Margot Robbie), il giocattolo senza qualità, al netto della Barbie presidentessa, della Barbie giudice della corte suprema, della Barbie premio Nobel e chi più ne ha più ne metta. Ma l’imprevisto, tipo il tamarro dietro l’angolo cantato da Elio e le storie tese in Shpalman è sempre in agguato. Basta pensare di morire e la valle delle bambole va in frantumi. Alla bambololetta vengono i piedi piatti (che orrore!) e financo la cellulite (orrore moltiplicato all’ennesima potenza!). Bye Bye perfezione. L’unica via di salvezza è un viaggio alla scoperta della realtà, magari in compagnia dell’immarcescibile Ken. Solo che il globo terracqueo è una società degli uomini e per gli uomini. Riuscirà, quindi, una fashion doll a cambiare le regole del gioco?
MARGOT ROBBIE E RYAN GOSLING: BARBIE E KEN ALLA RISCOSSA
Spiace per le bellissime e parimenti talentuose Anne Hathaway e Gal Gadot. Ma Barbie al cinema poteva trasfigurarsi solo in Margot Robbie. Già quando si manifesta all’inizio del film, dominante e gigantesca quanto la protagonista del mitico B-Movie Attack of the 50 Foot Woman. La star australiana ha vinto gioco-partita-incontro. Come nel sottovalutato Babylon, la protagonista versa lacrime amare e noi piangiamo con lei. Solo un’attrice autentica può fingere di farsi una doccia o bere un soft drink e risultare altresì credibile, tipo David Hemmings nell’immaginaria sfida a tennis con cui termina Blow-Up di Michelangelo Antonioni. Se Roland Barthes fosse ancora vivo con ogni probabilità dedicherebbe un capitolo di Miti d’oggi al viso della bionda diva, come fece per Greta Garbo. Tant’è che quando Barbie, in una crisi di autostima, si definisce brutta, la voce fuori campo (nella versione di originale è quella di Helen Mirren) sottolinea quanto l’affermazione sia non credibile se riferita a un personaggio interpretato da Margot Robbie. E l’accoppiata con Ryan Gosling funziona quanto delle fragole abbinate allo champagne. Non nuovo a vestire i panni dell’ottusangolo toyboy, l’attore e musicista canadese diverte e intriga. Il suo folle associare il patriarcato alla passione per i cavalli (peraltro gli equini in Barbie ricordano le fotografie Sallie Gardner at a Gallop di Eadweard Muybridge, citate in Nope) rimanda alla comicità dirompente e surreale dei Monthy Pyton. È d’uopo menzionare anche Michael Cera. Nelle vesti di Allan, uno che nella cosmogonia di Barbie conta meno dell’indiano dei Black Eyed Peas (come cantavo i Club Dogo nel brano Ciao proprio).
Barbie, tra ironia e femminismo
“La vita è troppo importante per essere presa seriamente”, scriveva Oscar Wilde. Sicché la regista Greta Gerwig sceglie la via della leggerezza per condurci al palazzo della consapevolezza, visto che di vite ne deve raccontare due: quella di Barbieland, dove le donne imperano e quella reale, dove l’uomo è signore e padrone. Certo si tratta di un’operazione, non priva di furbizia. La Mattel si straccia le vesti, si autoflagella si rappresenta attraverso un gruppo di dirigenti vacui, arroganti (e Will Ferrel in quanto CEO dell’azienda è esilarante). Però il messaggio arriva a tutti. Ci si sbellica pensando a una Barbie Proust, persa nelle madeleine e ovviamente acquistata da nessuno, e si riflette sul fatto che le risposte giuste le abbia la Barbie stramba. E l’epifania abbacinante del colore rosa (alla fine sta bene con tutto) rende gradevoli e spiritose persino le sequenze piu didascaliche e reiterate. Anche perché non si tratta della trasposizione cinematografica di un pietra miliare del femminismo come Il secondo sesso di Simon De Beavouir, ma dell’adattamento live action della fashion doll più venduta e famosa al mondo. Senza eccessive velleità, Barbie gioca con stile, glamour e ironia con i cliché. Un film che riesce a dare un’anima alla plastica e persino a certe operazioni di marketing. E tra frizzi, lazzi, gag, battute, rollerblade, numeri musicali di altissimo livello e ciabattine con piume di marabù, il lungometraggio offre spunti di riflessione sulla società in cui viviamo, sul maschile e sul femminile. Insomma, non crediamo si possa chiedere di più a un’opera con protagonista una bambola giocattolo.