Andrea Morricone: vi racconto chi era mio padre Ennio

Andrea Morricone: vi racconto chi era mio padre Ennio

Andrea, ma il necrologio che suo padre Ennio Morricone scrisse su se stesso… 

«Noi figli l’abbiamo saputo tre-quattro giorni prima della sua morte. C’è tutto l’amore che lo univa a nostra madre, un rapporto unico, inesauribile che durava da oltre 50 anni». Andrea, classe 1964, è direttore e compositore, sabato inaugura il Ravello Festival eseguendo le musiche di suo padre con l’Orchestra Roma Sinfonietta. È il terzo figlio di Ennio e Maria, dopo Marco e Alessandra, e prima di Giovanni. Il leggendario musicista è scomparso il 6 luglio e ora il figlio accetta di ricordare quei momenti drammatici.

Com’è andata?

«Sono state le complicazioni di un’operazione al femore. Era al Campus Biomedico di Trigoria, lo staff medico, eccezionale, ha messo a disposizione di mia madre e di noi figli delle stanze per essergli vicino fino all’ultimo».

Il funerale in forma privata, secondo le sue volontà?

«Con noi, nella Cappella del Campus, gli amici più intimi, Tornatore, Maurizio Billi che dirige la Banda della Polizia e l’avvocato Giorgio Assumma che ha letto la preghiera degli artisti».

L’Auditorium di Roma è stato intitolato a suo padre.

«Una decisione votata all’unanimità dalla giunta. È stato un momento di grande emozione e di consapevolezza dell’opera di papà, così universalmente riconosciuta».

Lei e suo padre.

«Ci univa lo svegliarsi all’alba, la passione per gli scacchi, che mi fece studiare con il campione italiano. Le partite con papà duravano 4 ore. Diceva che è come la musica, non sai dove vai a parare, e riuniscono le regole di Aristotele, tempo, luogo, azione».

Come prese la sua decisione di diventare musicista?

«Era contento benché mi ammonì sulle difficoltà. Gli dissi che avrei scritto anche colonne sonore, mi rispose: in bocca al lupo. Mi mandò a lezione da Irma Ravinale, l’insegnante più severa a Santa Cecilia. M rimproverava di essere dispersivo, dipingevo anche. Ma da tanto la musica mi occupa ogni giornata. Papà era orgoglioso che da ragazzo avessi scritto la melodia di Nuovo Cinema Paradiso lui aggiunse due accordi fondamentali per la lunga scena dei baci, che reiterò 5 volte. A 20 anni mi dicevo: spero un giorno di comporre come papà».

Poi lei intraprese una sua strada.

«Andai negli Usa per due colonne sonore, studiai il jazz, con la musica antica è l’asse portante di un compositore».

L’insegnamento di Ennio?

«La sua unicità, la poesia dietro lo sguardo severo, il non accontentarsi mai, il mettersi in discussione nell’arte, c’è sempre un modo di migliorarsi. Però scriveva musica velocissimo, e fino all’ultimo su carta. Ricordo i consigli preziosi sul modo di usare gli ottoni (nasceva trombettista) senza esporli come fa Ciajkovskij. Mai vissuto il peso del cognome, mi sono concentrato nel trovare un mio linguaggio musicale».

Ebbe un cruccio…

«Sì, negli anni 80-90 gli fecero la guerra, l’ambiente della classica non riconosceva la qualità dei suoi lavori extra cinematografici».

I premi li teneva…

«Sotto chiave. Lo studio della casa a piazza Venezia era il suo scrigno segreto, per entrarvi c’erano due porte, lì trovava la sua energia».

L’adolescenza con Ennio?

«Andavamo allo stadio a vedere la Roma con Sergio Leone che fumava sigari puzzolenti in auto. Più tardi cominciò a dirigere, gli chiesi di potergli stare accanto ma lui aveva già il suo team».

Valerio Cappelli, Corriere.it

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