Dopo lo splendido “A gun in Each hand” Cesc Gay torna ad addolcire la Spagna e non solo con un piccolo gioiello di semplicità e umanità che ha letteralmente dominato l’ultima edizione dei Goya. Apparentemente la trama di Truman sembrerebbe un dramma giocato con furbizia sulla condizione di un uomo allo stadio terminale della sua malattia. Nelle mani del regista spagnolo invece, questa insostenibile realtà si trasforma in una commedia profonda e sensibile, in grado di insinuarsi nelle pieghe drammatiche della vita, trovandovi anche un’inaspettata e commovente leggerezza. Non siamo in presenza di uno spettacolo esaltante o ad una pellicola rivoluzionaria, ma ad un piccolo ritratto che arriva a toccare il cuore perché animato dalla gentilezza di un tocco genuino e dalla capacità di cullare sentimenti sinceri. È incantevole vedere come tutta la vicenda sia in realtà soltanto lo sfondo che permette di dare forma e dimensione all’universo emotivo dei suoi protagonisti. L’occhio di Gay infatti è sempre incredibilmente focalizzato sui suoi personaggi; mai un virtuosismo, mai un vezzo, mai un eccesso o un momento di ostentazione. Uno splendido lavoro di sottrazione che trae la sua linfa vitale da silenzi più intensi di mille parole, da piccoli sguardi carichi di emozioni e dalle interpretazioni di due attori formidabili (Darin e Cámera), capaci di esternare un mondo interiore tremendamente umano anche attraverso la delicatezza di semplici gesti.
Un’atmosfera di morbidezza e pacatezza che riesce a trovare nello spettro della morte il senso di una vita, quel senso che troppo spesso tendiamo a ricercare nelle cose più magniloquenti e complesse ma che può risiedere invece anche nell’avvolgente complicità di rapporti quotidiani. Ecco infatti che l’amicizia vera tra due anime fuse imprescindibilmente, che il legame simbiotico con il proprio animale, che l’amore paterno incontenibile, anche se mai dichiarato, possono assumere un valore vitale inestimabile, più forte di qualsiasi incognita futura e di qualsiasi certezza imminente. 108 minuti di cinema sottile, fatto di momenti fugaci e sfuggenti da assaporare secondo per secondo fino all’ultimo istante.
Il Fatto Quotidiano