“Programma chiuso. Raiuno è salva. Ora accanitevi su altro. Buona giornata della felicità. Ai politici che hanno urlato purtroppo ora tocca ritornare a lavorare per davvero.” (Lucio Presta)
“Certi casi nascono perché c’è chi si scandalizza. Le femministe usano solo retorica, ogni uomo spera che una donna gli perdoni i tradimenti, non gli rompa i coglioni e lo faccia sentire superiore. La descrizione fatta dalla Perego è da un lato ironica, dall’altro indica che una rumena è talmente furba che fa quello che vuole e ti fa sentire superiore. Che la Maggioni debba reagire si capisce, ma la povera Perego, che ora chiamerò, ha fatto una cosa divertente.” (Vittorio Sgarbi)
PER RIUSCIRE A RIMETTERE IN SESTO LA RAI BISOGNA APPLICARE IL CONTRATTO DI LAVORO
di Pierluigi Magnaschi (ItaliaOggi)
La vicenda della trasmissione Rai dal titolo “Parliamone…sabato” che è stata abolita per volgare sguaiatezza, assieme alla sua conduttrice, Paola Perego, è sintomatica della situazione in cui si trova la tv pubblica. E non certo per responsabilità del dg Antonio Campo Dall’orto e nemmeno della presidente Monica Maggioni che si sono trovati a dover gestire una Rai ingabbiata in una camicia di forza, costruita dalle gestioni precedenti, d’intesa con i sindacati aziendali che non vogliono abbandonare la pacchia della non applicazione dei contratti di lavoro ai vertici giornalistici e alle figure dirigenziali dell’azienda.
Infatti il contratto di lavoro giornalistico nazionale prevede espressamente, e da molto tempo, per i direttori e i vicedirettori di tutte le testate giornalistiche italiane, la possibilità del licenziamento senza giusta causa ma con laute liquidazioni prestabilite. Nelle stesse condizioni si trovano tutti i dipendenti (Rai o non Rai) che hanno contratti di tipo dirigenziale. Questa opzione (che esiste in tutte le aziende italiane) è stata sterilizzata solo nella Rai che, anche sotto questo aspetto, si connota come un caso a parte. Ciò comporta però l’ingessatura di un ente che dovrebbe invece essere oggetto di un costante turn over nelle posizioni apicali per cercare di disporre di figure professionali in grado di innovare la gestione in un settore in vertiginosa modificazione. Un settore quindi che non tollera, nell’interesse di tutti, presenze ossificate nelle posizioni apicali. I più alti stipendi dei dirigenti infatti comportano anche la loro mobilità. In Rai invece ci sono stipendi alla Sky con rigidità occupazionali da ufficio postale.
RAI / LE CAUSE VINTE
La Rai è l’unica azienda in Italia dove le cause di lavoro dei direttori e dei dirigenti vengono sempre vinte dai ricorrenti. E questo, non perché (come si vocifera dalle parti di Saxa Rubra, gli avvocati che difendono i dirigenti Rai siano dei mammasantissima del diritto) o perché, altra ipotesi, a Roma i magistrati siano di manica larga quando si tratta di decidere su cause di lavoro con enti pubblici (che non avendo problemi di bilancio, non portano i libri in tribuanale quando si esagera), ma solo perché la Rai prevede, nei suoi contratti (in contrasto col contratto di lavoro, ripeto) l’impossibilità della loro risoluzione anche per le posizioni apicali. Da qui le tante cause perse per “demansionamento”. In aziende normali, il “demansionamento” sarebbe semplicemente definito “risoluzione, con indennizzo, del rapporto di lavoro”.
È vero che, per i contratti Rai in essere, è difficile (anche se non impossibile) fare marcia indietro. Ma per nuovi contratti Rai, l’ente dovrebbe mettersi su una nuova carreggiata, non sterilizzando in essi le disposizioni del contratto nazionale di lavoro. Invece il duo Campo Dall’Orto-Maggioni e l’attuale cda Rai hanno approvato recentemente l’assunzione in blocco di ben nove vicedirettori di testata, prevedendo, anche per essi, l’illicenziabilità e prolungando così un abuso/dissipazione di cui la Rai dovrà soffrire a lungo anche in futuro, come dimostra appunto anche il caso Perego che è la diretta conseguenza di una disfunzione strutturale da eccesso di garantismo extra contrattuale.
Infatti, una nota di agenzia spiega: “È già la terza volta che il piano di ristrutturazione dei capi struttura Rai (che poi sono i responsabili dei programmi) presentato al direttore generale Campo Dall’Orto, non va in porto. Dicono che uno dei nodi sia il ruolo da affidare a Raffaella Santilli attuale capostruttura del day time. Il problema è quello di trovarle un nuovo incarico che sia all’altezza del precedente perché, in caso contrario, la causa di demansionamento sarebbe sicuramente vincibile dalla stessa”. L’agenzia prosegue: “Così la situazione di stallo va avanti da un anno, da quando lo scorso marzo Andrea Fabiano è diventato direttore di Rai1 ed è rimasto con il piano di riorganizzazione in mano. Tutto bloccato. Se non si muove una casella, anche le altre restano ferme”.
RAI / IL GIOCO DELL’OCA
Per non volere applicare il contratto di lavoro (che, non dimentichiamolo, è uno strumento a difesa dei dipendenti) la Rai resta quindi impegolata in un allucinante gioco dell’oca, con le caselle dirigenziali che non si liberano, né sono liberabili. Nel caso specifico, se il contratto di lavoronon fosse stato disapplicato ab imis dalla dirigenza della Rai, il problema si sarebbe risolto subito con l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro. I dirigenti infatti sono pagati molto di più dei normali dipendenti anche perché sanno che la loro è una carriera zigzagante, da una società all’altra. Un’impresa che ha il vertice ingessato ed inamovibile, è un’azienda destinata a morire. Per asfissia. Come sarebbe già da tempo avvenuto anche per la Rai se essa non godesse dell’immenso canone obbligatorio, esatto addirittura come se fosse una tassa. Ma non è il caso di eccedere. Viviamo infatti in tempi in cui queste posizioni di rendita sono diventate intollerabili. E sono difendibili solo se non sono conosciute. Ecco perché noi, ne parliamo qui, oggi. Unico media in Italia. A proposito di libertà di stampa. Che è un valore che si deve utilizzare a vantaggio dell’opinione pubblica e degli interessi del Paese. Se si vuole.
Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi
22.03.2017