Il punto della situazione sulla rivoluzione della tv

Il punto della situazione sulla rivoluzione della tv

Da una parte Netflix e le piattaforme di streaming. Dall’altra i canali via cavo. In mezzo, preso tra due fuochi, il pubblico

Nel 1996, in questo giorno, le Nazioni Unite proclamarono la giornata internazionale della televisione, riconoscendone il peso e l’importanza nella comunicazione. 21 anni dopo la televisione è cambiata, diventando altro, e si prepara a vivere una seconda (o addirittura terza, secondo alcuni) vita.

Addio linearità, addio pubblicità e addio palinsesti. La nuova televisione si vede su smartphone e mobile; è ricca di contenuti (forse, dicono gli analisti, troppo ricca) e di protagonisti. Da una parte, la rivoluzione di Netflix, giunta a un bivio, capace nel giro di pochi anni di raccogliere quasi 110 milioni di abbonati in tutto in mondo, di costruire una rete globale e di ribaltare totalmente il sistema distributivo e di messa in onda.

Dall’altra, la televisione classica, via cavo, forte dei suoi contenuti e della sua qualità, decisa a non cedere minimamente davanti all’avanzata dello streaming. «Crediamo che i nostri prodotti debbano andare in onda la domenica, una volta a settimana», prometteva nemmeno un mese fa, a La Stampa, David Levine, head of drama della HBO.

Questi due modi di intendere il piccolo schermo hanno portato non solo a uno stravolgimento – e, allo stesso tempo, a uno sviluppo – produttivo; ma hanno soprattutto influenzato gli spettatori, le cui abitudini, nel corso di questi ultimi anni, sono profondamente mutate.

I contenuti televisivi, lo dicevamo prima, sono sempre meno legati a giorni e a orari precisi di messa in onda; oggi è possibile guardare una serie tv su tablet e computer, con lo smartphone o con qualunque altro dispositivo device. C’è una vera e propria corsa (leggi: binge racing) a chi guarda per primo un contenuto. Negli ultimi mesi, per gli users di Netflix (circa 8 milioni, secondo le ultime stime) è diventata quasi un’abitudine: ci sono show che vengono visti interamente nel giro di 24 ore dalla loro uscita.

Non c’è nemmeno più una fascia oraria precisa, chiaramente identificabile, tra gli spettatori. Ora le serie tv e gli show vengono visti in qualunque momento, dalla mattina presto fino a sera tardi. E non importa più nemmeno il luogo, visto che non c’è più nessun tipo di vincolo fisico: per vedere la tv intesa come contenuto non serve più la tv intesa come elettrodomestico. Basta lo smartphone.

Diretta conseguenza di questo iper-sviluppo delle nuove piattaforme streaming, tra cui vanno pure citate Prime Video di Amazon e Hulu, è stata la ricostruzione, livello per livello, della televisione più classica: quella, cioè, ancora vincolata alla pubblicità, ai palinsesti e a una distribuzione per episodio, settimanale, delle serie tv. Sky, per esempio, ha sviluppato NowTV: dando accesso a un pubblico sempre più largo, più internet friendly, ai propri contenuti. CBS, il canale americano, ha sfruttato la messa in onda di Star Trek: Discovery per rilanciare la propria piattaforma. E poi c’è chi, come HBO, resiste: e continua con la sua programmazione e con il suo modello produttivo.

Qui in Italia, Sky ha deciso di sfruttare la visibilità delle serie e dei contenuti televisivi portando al cinema il suo prodotto di punta, Gomorra, che in due giorni di programmazione ha incassato circa 500 mila euro, doppiando (il primo giorno) i risultati di The Place di Paolo Genovese.

La Rai, sulla scia della spinta innovativa data dalla direzione, ora conclusasi, di Campo Dall’Orto, ha investito e sviluppato una propria piattaforma – Raiplay – su cui sono disponibili, previa registrazione gratuita, tutti i contenuti mandati in onda (a volte, ed è qui la vera novità, alcune serie sono state rese disponibili prima online, come nel caso di Non Uccidere e de L’Ispettore Coliandro, e poi mandate in onda).

Più in generale, la televisione è stata sconvolta dall’esplosione del fenomeno seriale: per qualcuno, quella che stiamo vivendo è ancora la “golden age” delle serie; per qualcun altro, invece, siamo già nell’era della “peak tv”, cioè nella sovrapproduzione eccessiva di serie. Sta di fatto, comunque, che tutti gli investimenti sono aumentati. Così come sono aumentati i competitor e i protagonisti del mercato: da Apple a Facebook, passando per Disney, che solo pochi mesi fa ha annunciato il suo addio a Netflix per avviare, prossimamente, una sua piattaforma.

È una rivoluzione, questa televisiva, che si è sviluppata velocemente nel giro degli ultimi dieci anni, che da una parte ha visto il consolidarsi di alcune modalità e che dall’altra ha permesso uno snellimento e un dinamismo maggiore nella distribuzione e, soprattutto, nella fruizione dei contenuti. E in questo, inutile negarlo, un ruolo importante l’ha avuta proprio la piattaforma di Reed Hastings, che ora, con un ulteriore aumento dei suoi investimenti previsto per il 2018, si prepara ad affrontare l’ennesima sfida: il suo modello reggerà oppure no? Avrà ragione sulla televisione classica oppure dovrà, ancora una volta, riorganizzarsi? Al pubblico, come sempre, l’ardua sentenza.

Gianmaria Tammaro

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