Le telefonate da thriller di Watts e Gyllenhaal

Le telefonate da thriller di Watts e Gyllenhaal

Il telefono come coprotagonista principale e alleato in situazioni che rischiano di essere senza scampo. Un tema già battuto varie volte dal cinema negli ultimi anni, di nuovo centrale in due thriller, diretti da specialisti del genere e interpretati da nomi da Oscar (anche in veste di coproduttori), che hanno debuttato al Toronto International Film Festival: Lakewood di Phillip Noyce interpretato da Naomi Watts, e The guilty di Antoine Fuqua con Jake Gyllenhaal, remake, al debutto il primo ottobre su Netflix (con un’uscita limitata nelle sale Usa dal 24 settembre), del candidato all’Oscar danese 2019, Il Colpevole – The Guilty di Gustav Moller.

In Lakewood al centro del racconto c’è una madre vedova, Amy, devastata dalla morte del marito. Un giorno, mentre si è allontanata nei boschi per correre, la sua abituale fuga dalla realtà viene a sapere (via telefono) che il problematico figlio potrebbe essere coinvolto da vittima o carnefice, in una sparatoria a scuola. La donna isolata si lancia in una corsa fisica contro il tempo (Naomi Watts non smette di correre in quasi tutto il film) per tornare in città, e in un tour de force telefonico, con chiamate fatte e ricevute, per cercare di notizie, soccorso, contatti, anche disperati, tra pezzi di verità e inquietanti scoperte. “Leggendo lo script mi sono subito messa nei panni di questa donna, che cerca di venire a capo di un momento vissuto nel completo caos, nel quale è impotente, ma deve cercare una soluzione – ha spiegato Naomi Watts nella conferenza stampa online -. Mi rendevo conto di quanto fosse sfidante la messa in scena, di me sola nei boschi per gran parte delle riprese davanti alla macchina da presa. Era una prospettiva che mi intimidiva ed esaltava. Si dovevano affrontare ostacoli costantemente, perché si trattava di girare lunghissime sequenze, cercando di andare avanti il più possibile senza fermarsi. D’altronde l’essere sempre più spossata fisicamente oltre che assalita dall’ansia era un aspetto fondamentale del mio personaggio”. La preparazione a livello atletico si è unita per l’attrice a quella sul fenomeno negli Usa delle incursioni armate e stragi nelle scuole. “Come ogni genitore seguo le notizie e questo è un tema che mi inquieta. Ho visto documentari, interviste, e letto molto su eventi tragici come Columbine o Sandy Hook. Il conto di vite umane causato da questi atti è enorme, ci si può preparare conoscendo i fatti ma non si può realmente sapere cosa voglia dire affrontare una tragedia come quella”. In The Guilty invece Gyllenhaal si cala nei panni di Joe, agente di polizia che si è messo in guai seri ed è stato relegato a rispondere al 911. La chiamata di una donna terrorizzata in auto, che finge di parlare con la figlia, fa capire a Joe di essere in contatto con una persona in grave pericolo, seduta accanto al suo rapitore. Da quel momento il poliziotto deve usare tutta la sua intuizione ed esperienza per mantenere il contatto sia con la donna che con il misterioso criminale, e allo stesso tempo cercare di guidare l’intervento per cercare di salvarla. Nel film scritto da Nic Pizzolatto (True detective) In ‘voce’ recitano con Gyllenhaal, fra gli altri, Ethan Hawke, Peter Sarsgaard e Paul Dano. “Ho visto The guilty nel 2018 e ho pensato subito si prestasse a una rilettura – spiega Gyllenhaal nella Q&A via web con il direttore del Tiff Cameron Bailey – C’erano così tanti temi dentro questa storia…. quello che mi ha colpito di più riguarda la verità e il coraggio che a volte serve per affrontarla, anche se può essere terrificante, pur di arrivare al bene”. Per l’attore il film è arrivato poco dopo aver passato quasi un anno portando nei teatri un monologo (Sea Wall/A life): “Un’esperienza che mi ha aiutato a sentirmi a mio agio nel girare delle scene molto lunghe nelle quali avevo l’occasione di andare oltre i miei limiti. Ho sempre amato gli ostacoli e le sfide”. Anche nei momenti più difficili, “come quando mi sono ritrovato a girare delle scene con la cinepresa praticamente attaccata alla mia faccia, ho cercato di usare la mia ansia in modo positivo e Antoine è un regista che sa darti lo spazio di farlo”.

Francesca Pierleoni, ANSA

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